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Preistoria

Tardivo fu il passaggio dalla Preistoria alla Storia per le popolazioni pre-romane che si erano insediate nella penisola italica. Ciò fu dovuto a diversi fattori: la presenza di numerose catene montuose, la varietà di climi, la scarsità di vaste pianure, la presenza di coste generalmente inidonee sia a favorire l'attracco, in quanto basse e sabbiose, che a stimolare la costruzione di abitati, per la malsanità delle aree, in genere acquitrinose. Di conseguenza, rispetto a ciò che accadde nell'Oriente, l'agricoltura si si sviluppò in ritardo, visto che alla pianura le popolazioni preferirono la montagna, più salubre e sicura. Tale situazione attardò altresì lo sviluppo dei traffici ed il contatto tra popolazioni differenti.

Paleolitico

Il Paleolitico è detto "Età della pietra antica", risultando dall'unione delle parole greche "palaios" (antico) e "lithos" (pietra). Si tratta del periodo più remoto della Preistoria, detto anche "Età della pietra rozza", dato che l'uomo del Paleolitico era solito realizzare armi ed utensili vari con ossa e corni, e pietre grezze, o al più rozzamente scheggiate. Tale risultato veniva conseguito utizzando i c.d. "Choppers", pietre grezze, mentre successivamente, la lavorazione divenne più "sofisticata", ricavando le amigdale (amigdala in greco significa mandorla), pietre lavorate su entrambi i lati, onde ottenere una lama più tagliente. La penisola italica conobbe la frequentazione dell'uomo primitivo sin da tale Età, come conferma il ritrovamento di resti umani risalenti a oltre 300.000 anni fa. Per ripararsi dalle intemperie e dagli animali feroci, l'uomo del Paleolitico si rifugiava nelle caverne, dove viveva in gruppi: ciò significa che la società era già strutturata in tribù. Fu la scoperta del fuoco che fece prevalere l'uomo primitivo su tutti gli altri animali, fornendogli luce nottura e calore nelle notti fredde o invernali, dandogli sicurezza, tenendo lontano le belve, consentendo una migliore digestibilità delle carni. L'uomo del Paleolitico fu un cacciatore-raccoglitore non stanziale, cioè nomade, visto che si spostava in continuazione. Tuttavia, tra uno spostamento ed un altro, non è da escludere l'erezione di precarie capanne in parte interrate, il cui pavimento era costituito da pelli animali o da erba. La dieta derivava principalmente dalla caccia, visto che il territorio era quasi interamente ricoperto da foreste, un luogo ideale per cacciare. Alle donne era delegata la raccolta di vegetali commestibili, bacche e frutti degli alberi che la terra produceva spontaneamente, come pure di uova di uccelli e di rettili. Non era disdegnata neanche una pesca elementare. Il clima, inoltre, doveva essere favorevole, agevolando la sopravvivenza. Il rapporto con i defunti non doveva essere "sereno", visto che i morti venivano inumati (sepolti sotto terra), legandone le membra, al fine di precluderne il ritorno dall’oltretomba: i corpi erano riposti in posizione prona, con gomiti e ginocchia ed i gomiti sotto il corpo. Accanto al corpo del defunto, venivano lasciate le armi ed i beni appartenuti loro in vita, oltre che pezzi di carne, che dovevano servire per le esigenze nutrizionali del morto nel suo trapasso verso l'aldilà.

Numerose sono le testimonianze risalenti al Paleolitico ritrovate sul territorio dell'Irpinia. Al Paleolitico Medio risalirebbero alcuni reperti archeologici rinvenuti nell'area nord-orientale di Villamaina, quali punte di frecce, lame lavorate, raschiatoi, manufatti in selce (Gino Ricciardi, Villamaina, aspetti storico-culturali, Casalbore 1990). Al Paleolitico risalgono i reperti rinvenuti nelle cave di Gesualdo (oltre 5000 A.C.), e di Montemiletto, le asce levigate ed i raschiatoi di Grottaminarda, l’ascia paleolitica di Sant’Angelo dei Lombardi, descritta nel 1910 dal De Blasio, già custodita presso l'Università di Napoli (Istituto di antropologia) ed andata smarrita, durante la guerra ..... Al Paleolitico Inferiore risalgono alcuni manufatti, che confermano la frequentazione del territorio irpino da parte di cacciatori nomadi.

Un grande stravolgimento climatico, l'aumento della temperatura, avvenuto all'incirca 20000 anni fa, colla fine dell'ultima glaciazione, determinò profonde modifiche dell'ambiente, determinando, da un lato, la scomparsa di tante specie vegetali e, soprattutto, animali di cui si cibava l'uomo del Paleolitico, dall'altro, la fine di tale Era. I rinvenimenti paleolitici sono avvenuti in altri siti, tra cui ricordiamo, Lacedonia, Flumeri, Paternopoli ed Altavilla Irpina.

Mesolitico

Il Mesolitico, detto "Età della pietra media" derivando dalle parole greche "Mesos (medio) e lithos (pietra), rappresentò un periodo di transizione, visto che gradualmente, l'uomo primitivo da errante divenne stanziale, presumibilmente, anche per la scomparsa di molti degli animali che seguiva e cacciava, anche se non è da escludere la possibilità che tale evento possa ricollegarsi alla caccia di animali di taglia più piccola e da un interesse verso la pesca. La naturale conseguenza di questa nuova situazione fu la necessità di realizzare da parte dell'uomo del Mesolitico strumenti di caccia e pesca più "sofisticati". Non è un caso, infatti, che in tale periodo, da un lato, si ridusse notevolmente la fabbricazione di utensili di osso e di corno, dall'altro, si ebbe l'invenzione dell'arpione per la pesca e dell'arco per la caccia degli uccelli. La porzione vegetariana della dieta dell'uomo del Mesolitico continuava ad essere basata sulla ricerca di frutti e radici.

Neolitico

Il Neolitico, che va all'incirca dal 10000 al 4000 A.C., è detto "Età della pietra nuova", risultando dall'unione delle parole greche "neo" (nuovo) e "lithos" (pietra), o anche "Età della pietra levigata", dove l'agente levigante era rappresentato dall'uso di sabbia bagnata. Ciò consentì la produzione di punte di freccia dalla forma variegata, utensili appuntiti, accette triangolari e trapezoidali. Potendo contare su di una dieta più vasta dei suoi predecessori, cioè non solo carni di animali di grossa molte, ma anche su quelle di animali di taglia inferiore, dei pesci e degli uccelli che riusciva ad uccidere, l'uomo del Neolitico fu spinto a stabilirsi in siti dove era possibile vivere una vita da cacciatore-pescatore stanziale, il che dovè necessariamente stimolare la sua fantasia, inducendolo a trasformarsi in agricoltore. Tale mutazione non avvenne, ovviamente, all'improvviso, ma fu graduale e soprattutto fu casuale, nel senso che, osservando che i semi delle varie specie commestibili, una volta caduti a terra tendevano a produrre delle altre pianticelle, l'uomo del Neolitico si rese conto che valeva la pena di assecondare tale vicenda naturale, irrorando il terreno e pulendolo, forse anche estirpando le erbacce, in modo da ottenere piante e frutti qualitativamente superiori a quelli selvatici. Pare che tale processo richiese un millennio per compiersi completamente. Infatti, i primi uomini che divennero agricoltori sembra siano apparsi verso il 9000 A.C., tra i Monti Zagros (Mesopotamia) ed il Mediterraneo orientale. In tale area, ancora oggi nasce spontaneamente quello che gli scienziati riconoscono come il precursore di ogni specie di grano, che gli antichi abitatori del posto, spinti dall'aridità del terreno, che precludeva una caccia copiosa (rappresentata solo da stambecchi e capre selvatiche), furono costretti a coltivare, unitamente all'orzo. La logica conseguenza della nascita dell'agricoltura, fu la nascita dei insediamenti stabili, dei primi villaggi neolitici (Ahin Mallaha, Zawe Chemi, Al Natuf), dove appunto si scoprirono primitivi attrezzi agricoli, come macine per la triturazione dei chicchi di grano ed orzo selvatici e piccole falci di pietra. A tal punto, l'uomo neolitico divenuto agricoltore, non potendo più dedicarsi alla caccia, si rese conto che valeva la pena addomesticare gli animali selvatici. Non vi è dubbio che il primo animale a cui toccò tale sorte fu il cane (attorno al 10000 A.C.), seguito da pecora e capra selvatica. Venne poi la volta dei maiali in Anatolia (Cayonu) e dei bovini, (per entrambi, verso il 7000 A.C.). Naturalmente, quei popoli che vivevano in zone più aride, non poterono mai divenire agricoltori-allevatori, divenendo degli allevatori nomadi, andando periodicamente alla ricerca di nuovi territori dove far pascolare le greggi. Nella penisola italica, la conoscenza e la diffusione delle tecniche neolitiche avvenne con qualche millennio di ritardo rispetto alle regioni orientali (fine del 7000 A.C.).

La presenza dell'uomo neolitico in Irpinia è confermata dal ritrovamento di numerosi reperti in diversi siti. Si va dagli strumenti litici (VI-V millennnio A.C.) ritrovati nel territorio di Carife, ai reperti de La Starza nel territorio di Ariano Irpino (frammenti di ceramica, ossi di animali ed altro risalenti al periodo seconda metà del IV millennio- inizio I millennio A.C.), Paternopoli (cuspidi di frecce), Gesualdo e Calitri (asce di pietra levigata), Villamaina (cuspidi di frecce custodite presso il Museo Irpino di Avellino), Castelbaronia, Grottaminarda. La pratica della coltivazione dell'orzo, del farro delle lenticchie e delle fave, si estese alle valli dell'Irpinia solo a partire dal terzo millennnio A.C., col parallelo avvio dei primi allevamenti ovini. Onde ampliare lo spazio coltivabile, gli uomini del neolitico in Irpinia tagliarono le piante giovani che occupavano i fianchi delle colline e decorticarono quelle più vecchie, in modo da indebolirle e bruciarle. Il sostentamento dato dai prodotti dell'agricoltura, della raccolta di frutti, bacche e radici, della pastorizia, non precludeva l'esercizio della caccia e della pesca. Villaggi primordiali venivano creati lungo i fiumi ed i torrenti dell'Irpinia (Calore, Ufita, Fredane, Tammaro, Miscano, Ofanto, ecc.), dove vivevano gruppi familiari organizzati. Le tradizionali lavorazioni della pietra e del legno, furono integrate da quelle delle canne, del vimini e di altre fibre vegetali, il cui impiego tornava utile sia per la pesca che per "la casa". Gradualmente vennero ad essere introdotte la diversificazione del lavoro e la specializzazione nella realizzazione di manufatti. Nonostante ciascun villaggio potesse definirsi autosufficiente, prese a diffondersi la pratica del baratto fra tribù limitrofe. A Calitri venne ritrovato un coccio di argilla, il che sta a significare che nel Neolitico, in Irpinia già si realizzavano articoli fatti con tale materiale, quali vasi, tazze e simili. Sempre a Calitri (Località Tufiello), ad Ariano Irpino (Località Starze) ed a Montemiletto sono venuti alla luce dei manufatti in ceramica scura, decorate operando una pressione con le dita o utilizzando le unghie, nonchè asce levigate. Si cominciò ad interrare i morti in posizione distesa e supina (anche se a Gesualdo i corpi sono in posizione rannicchiata), a testimoniare un sopravvenuto sentimento di carità e di amore verso i membri della propria famiglia o tribù, in luogo del passato timore di un possibile ritorno dall’oltretomba, pur conservandosi l’uso di seppellire con essi derrate alimentari insieme con gli oggetti personali posseduti in vita.

Eneolitico, o Età del rame

L'uomo dell'Eneolitico, verso il 4000 A.C., si accorse che le pietre che utilizzava (che contenevano dei residui di metalli) a contatto con fonti di calore tendevano a divenire meno resistenti. Ciò avveniva particolarmente con le pietre che contenevano residui di rame, il cui punto di fusione è alquanto basso (1000 gradi centigradi). Pertanto, fu tale metallo il primo ad essere utilizzato, determinando la nascita dell'Età del rame, la prima tra le Età dei metalli. Dall'Anatolia, i precursori dei fabbri trasmisero nel Vicino Oriente l'arte appresa. Nella penisola italica il passaggio dal Neolitico all'Età dei metalli avvenne in ritardo, verso il principio del 2000 A.C.. A tale Età risalirebbero delle tombe rinvenute a Castel Baronia ed a Casalbore, caratterizzate da un abbondante corredo funerario ed armi varie.

Le popolazioni dell'Irpinia non trassero molto giovamento dalla scoperta della lavorazione del rame, a causa della difficoltà del procacciamento di tale materia prima, di cui si giovò probabilmente solo la parte agiata della popolazione, che la utilizzò per fini prettamente ornamentali (collane, bracciali).

Età del bronzo

Dal 3000 A.C. l'uomo primitivo si rese conto che poteva ottenere dei migliori risultati di fusione, utilizzando contemporaneamente rame e stagno, ricavando il bronzo, una lega molto resistente. Si originò, così, l'Età del bronzo, un periodo di notevole vivacità, che determinò una notevole crescita della civiltà, favorita dallo sviluppo dei traffici, che si giovò dell'invenzione della ruota, originariamente piena, di pietra o di legno, poi alleggerita con i vuoti ed i raggi. Altro elemento caratteristico di tale Età è la formazione di addensamenti urbani, che presiedevano a tutte le attività effettuate nelle aree limitrofe. L'ubicazione degl insediamenti, ovviamente, avvenne lungo il corso dei principali fiumi, e primi fra tutti, il Tigri e l'Eufrate, il Nilo, l'Indo, il Fiume Giallo. Le tecniche di lavorazione del bronzo vennero trasmesse nella penisola italica da popolazioni indoeuropee che raggiunsero le coste adriatiche ad ondate successive, penetrando nella penisola. A partire da tale Età, penisola italica vide la netta distinzione tra le regioni centro meridionali e Veneto, dove erano stanziati popoli parlanti lingue indoeuropee e regioni settentrionali, Toscana e Sardegna, dove si erano insediati popoli non indoeuropei. Oltre alla lingua, vi fu un altro elemento fortemente differenziante le popolazioni citate, la cultura. Infatti, a Nord si sviluppò la Civiltà "Terramare", che prese il nome dalla tipologia di abitato preistorico che la caratterizzò, realizzato su palizzate e recinto da argine e fossato, al riparo dalle acque. Tale civiltà usò bruciare i cadaveri (cremazione o incinerazione), le cui ceneri venivano conservate in apposite urne cinerarie. Nel Centro-Sud, maggiore diffusione ebbe la Civiltà appenninica, dovuta a popoli indoeuropei stanziatisi in Italia. A differenza della Civiltà Terramare, quella Appenninica, oltre alla cremazione ricorse alla sepolura dei cadaveri (inumazione). Civiltà anomala e dalle origini sconosciute fu quella che si sviluppò in Sardegna, detta Civiltà dei nuraghi, in riferimento alle tipiche costruzioni a tronco di cono utilizzate sia come abitazioni che come torri difensive in caso d'attacco.

A tale Età (o alla precedente Età del Rame), viene ascritta la necropoli scoperta in località Madonna delle Grazie di Mirabella Eclano, nei pressi del Calore, dove sono state ritrovate delle tombe "a forno", con ingresso da un pozzo di forma circolare, a cui segue un corridoio, ricavate nel tufo e profonde all'incirca due metri. IL Capo tribù, venne inumato in posizione rannicchiata, unitamente al suo cane, oltre che alle sue armi litiche e metalliche e vasellame. Il villaggio di capanne rinvenuto a Pratola Serra risale al 2000 A.C.. Le popolazioni dell'Irpinia non si giovarono molto della scoperta della lavorazione del bronzo, a causa della limitata disponibilità di stagno. Si fece uso del bronzo per la produzione di armi ed in altre limitate ipotesi (lame, piccole falci, coppe, vasi).

Età del ferro

Inizia verso il IX secolo A.C. e rappresenta l'ultimo stadio della Preistoria, prima della Storia. In tale Età, le popolazioni della penisola italica tesero a differenziare sempre di più le loro culture, che, a tale stadio, possono essere ricondotte a due grandi aree: le regioni meridionali e quelle adriatiche, dove si affermò l'inumazione dei morti, le regioni italiche settentrionali (oggi Lazio e Toscana), ricorsero alla cremazione. A tal ultimo riguardo, si parla di Civiltà Villanoviana, dal paese in Provincia di Bologna, Villanova, dove vennero ritrovati i primi "Ossuari", vasi in cui venivano riposte le ceneri dei defunti. Lo stadio terminale della Civiltà in discorso coincide con la Civiltà etrusca. Le esigenze organizzative e di controllo delle attività indicate durante l'Età del Bronzo, determinarono la nascita dei primi Stati, dove i membri della comunità stanziata su un certo territorio era soggetta alla sovranità statuale, esercitata da una autorità superiore (esempio, il Re), tramite i suoi funzionari. La necessità di dar conto al Re dell'attività svolta, determinò la nascita della scrittura e, quindi, il trapasso dalla Preistoria alla Storia.

A Bisaccia, Piano Pantano (Mirabella Eclano) ed a Starze (Ariano Irpino), in delle tombe, sono stati rinvenuti articoli ornamentali e di uso comune risalenti al 1000 A.C.. Si tratta di bracciali, orecchini, fibule, piccole anfore, vasi, ciotole, ecc. La scoperta della lavorazione del ferro apportò sicuri benefici agli abitanti dell'Irpinia, i cui agricoltori, verso l’anno 1000 A.C., utilizzavano diversi utensili agricoli di ferro (falci e zappe) o con parti di ferro (aratri), con inevitabili ripercussioni positive sulla produttività agricola. Il migliorato tenore di vita, come logica conseguenza, attrasse orde di malintenzionati, ingenerando tre conseguenze di rilievo:

La maggiore e differenziata produzione, agricola ed artigianale, stimolò gli scambi, in regime di baratto, e poi in moneta, a partire dall'VIII secolo A.C.

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