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Castello-Carcere

Veduta dell'ingresso del castello-carcere borbonico In origine, i Longobardi eressero un castrum, a pianta quadrangolare. Si trattava di una struttura difensiva cinta da mura, che successivamente venne ampliata e rafforzata da Normanni, Svevi, Angioini ed Aragonesi.

Fino a poco tempo fa, sul lato orientale, in località ancora oggi denominata "Sopra le mura", si vedeva ancora la base di una torre, mentre ad occidente, il muro che sostiene la sovrastante strada richiama le antiche mura. In tale area, presso il Largo S. Bartolomeo si trova incastrata una grossa pietra con iscritta la data del 1103.

Le mura di cinta non avevano bisogno di essere molto spesse, visto che avevano la funzione di rinforzare i sovrastanti terrapieni realizzati sulla roccia, su cui il borgo era stato costruito. L'accesso al borgo antico era effettuato tramite tre Porte: Porta Canale, Porta Tezza e Porta S.Bartolomeo.

Uno stemma in pietra sulla facciata del castello-carcere borbonico Molti i personaggi illustri che soggiornarono presso il castello, molti già ricordati nella storia di Montefusco. Falcone Beneventano, nella sua "Cronica", ricorda i Papi Callisto II ed Onorio II (nel 1137), i Re normanni Tancredi, figlio di Ruggiero I e Ruggiero II, il Re Ferdinando il Cattolico, il Re Ferdinando d'Aragona, nonchè Ferdinando II di Borbone. Inoltre, nel castello vennero celebrate le nozze tra Ruggiero il Normanno e la Sibilla.

L'originario fortilizio, vide un mutamento della sua destinazione d'uso con gli Aragonesi, che lo trasformarono in Tribunale della Regia Udienza Provinciale del Principato Ultra.

Ulteriore mutazione avvenne sotto Ferdinando II di Borbone, che, nel 1851, trasformò l'ex castello-tribunale in carcere politico per i patrioti antiborbonici. In tutto si trattò di circa 50 prigionieri. Tra questi ricordiamo il primo prigioniero politico, un sostenitore locale della Repubblica Partenopea, Pirro Giovanni De Luca, imprigionato nel 1799, che perì di tifo il 10 gennaio 1800, a cui seguirono (2 febbraio 1852) il Barone Nicola Nisco di San Giorgio la Montagna, il Duca Sigismondo Castromediano, duca di Caballino, il napoletano Carlo Poerio, già ministro di Ferdinando II, il conte Michele Pironti da Montoro, la cui famiglia comprò un'abitazione sulla piazza di Montefusco per restargli vicino.

Una lapide sulla facciata del castello-carcere borbonico. Ricorda le persone incarcerate nelle celle dello "Spielberg irpino" Una lapide sulla facciata del castello-carcere borbonico Il carcere borbonico di Montefusco, la cui parte settentrionale venne ricavata nella roccia, fu tristemente famoso per la durezza del trattamento riservato ai prigionieri (la lapide sulla sinistra si riferisce a questi sventurati) e le oggettive pessime condizioni ambientali, tanto da essere definito lo "Spielberg d'Irpinia". Si diffuse un detto: "Chi entra a Montefusco e ne esce vivo, è come fosse rinato!". Rinato, si fa per dire, visto che i sopravvissuti ne uscivano in condizioni disastrose, tanto che vi fu chi ebbe gravemente minato il fisico (Poerio fu colpito da problemi respiratori, Castromediano da bronchite cronica, Schiavone perse un occhio, diciassette detenuti subirono il rilassamento dell'anello inguinale, ed altri colera, tifo, ecc.), e chi, come De Gennaro, perse il lume della ragione. La lapide sulla destra risale al 1705 e ricorda Romulo Marchioni Cavaselice, magistrato.

Sono ancora presenti il pavimento in ciottoli, le pesanti porte e gli elementi in ferro, compreso il "puntale", un grande anello conficcato nel muro o sul pavimento, cui tramite il prigioniero veniva immobilizzato tramite una catena. A ciò si aggiunga il sibilare del vento, il freddo, tanto che i prigionieri erano costretti a dormire vestiti ed ammassati l'uno accanto all'altro.

Il portale d'ingresso del castello-carcere borbonico Varcando la soglia del carcere, si accede all'ingresso, nella zona detta "Vaglio", che era deputata a ricevere i prigionieri durante "l'ora d'aria", quelli però che non erano stati condannati per reati gravi. A sinistra, una scaletta in pietra squadrata fa accedere alla pianta superiore della struttura, verso una corsia con le celle, alcune tenuemente illuminate dalla luce solare che attraversa le inferriate, altre assai anguste e prive di luce. Sulle imposte di legno è ancora possibile leggere i nomi incisi da tanti prigionieri. Tramite un'altra scaletta, si accede alla parte più remota della struttura, la corsia inferiore, che comprende una vasta sala con finestre alte dal suolo e chiuse da sbarre di ferro.

Nonostante il tribunale fosse stato trasferito ad Avellino dal 1814, il carcere continuò svolgere le sue funzioni, visto che quello del nuovo capoluogo di Provincia doveva essere ancora terminato.

Anche il carcere continuò ad essere utilizzato fino al 1877, per divenire carcere mandamentale fino al 1923.

Dal 1928 il castello-carcere è monumento nazionale.

Oggi, oltre ad essere sede degli uffici comunali, la struttura viene impiegata per ospitare diversi eventi, quali mostre, convegni ed altre manifestazioni culturali.

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