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La ricostruzione delle più antiche vicende di San Potito è estremamente difficoltosa data l'assenza o carenza di fonti remote e lo stridente contrasto tra le opinioni dei vari studiosi che hanno effettuato ricerche in merito (Trivero Quirino, Scipione Bellabona, Francesco Scandone, e più recentemente Arturo Bascetta).
Pertanto, le notizie che leggerete, oltre che derivanti da fonti certe, si basano molto su supposizioni o ricostruzioni verosimili.
Sembra che le origini di San Potito si ricolleghino in qualche modo al villaggio di Radicozzo, distrutto una prima volta nel 200 A.C., forse originariamente chiamato Ropicuozzo.
Tra le varie spiegazioni circa l'etimologia di tale nome, due ci sono sembrate più prossime al vero: a) deformazione del nome originario secondo la seguente sequenza: Ropicuozzo-Rodicuozzo-Rodicozzo-); b) luogo situato presso la sorgente Radice (nei pressi di Candida), con la seguente deformazione: Radice-Radica-Radico-Radicozzo.
Limitandoci, per ora, alla prima ipotesi, Ro-Picuozzo, significa dell' (Ro') Eremita (Picuozzo), che avrebbe qui eretto un edificio religioso in onore di San Pietro. Nei pressi di tale chiesa si insediò tale Potito, figlio di un Senatore di Sardegna fatto martirizzare quale cristiano presso Ascoli dall'Imperatore Antonino nel 180 A.C. (anche se si avanzano dubbi al riguardo per un'incongruenza storica: Antonino si convertì al Cristianesimo nel 137 A.C.).
Nei pressi della chiesa di S. Pietro, originariamente doveva insistere un tempio romano dedicato a Giano, sulle cui rovine era stata edificata la chiesa di S. Potito e che si trovava nell'abitato di Graziano, divenuto poi San Potito (che successivamente con probabilità si fregiò di una torre in epoca normanna).
Quindi, San Potito non discenderebbe direttamente da Rodicozzo, nel senso che in origine si sarebbe trattato di due siti distinti, anche se molto prossimi.
E' probabile, che in epoca medioevale, i Longobardi avessero dato vita ad un vero e proprio borgo di dimensioni maggiori, che avrebbe finito per inglobare i due centri.
Ad ogni modo, e qui veniamo alle fonti certe, le prime notizie certe dell'esistenza di Radicozzo si rinvengono in un documento del 1231, redatto da "Guglielmo, medico e notaio di Avellino, dove si parla del "Casale Radicozzo, pertinenza di Candida".
Notizie specifiche del Casale di Santo Petito risultano nel 1272 e 1326. Dal 1382, unitamente ad Arianello (ora frazione di Lapio), Parolise, Salza, San Barbato e Serra, San Potito e tutta la Baronia di Candida, vennero affidati in amministrazione ai Filangieri, Conti di Avellino.
Nel 1413, in un atto, si fece riferimento a San Potito "nelle pertinenze di Candida", di cui seguì le vicende storiche ed amministrative dal XIII al fino alla metà del XVII secolo, quando divenne un feudo autonomo.
Dopo il 1413, quindi, i feudatari di Candida governarono anche San Potito e ciò fino al 1670, quando divenne proprietà di Carlo Calò, Marchese di Villanova.
Nel frattempo, Radicozzo era scomparso: infatti se nel 1532 vantava quasi 200 residenti, divenuti 350 nel 1648, nel 1669 non vi era neanche un residente, sicuramente per i tantissimi morti inflitti dalla terribile peste del 1656, forse anche a causa della sua definitiva distruzione (presumibilmente in epoca aragonese). I pochi superstiti si trasferirono a San Potito.
La storia successiva di San Potito si lega strettamente ad una famiglia, Amatucci, o meglio in origine d'Amatuccio, il cui capostipite sarebbe un tal Nicola d'Amatuccio, giudice regio a vita nominato nel 1588, giunto a San Potito da Napoli.
Secondo alcuni, la venuta degli Amatucci sarebbe anteriore alla data citata, ascrivendosi ad un conte Lorenzo, padre di Modestino, come si legge sul muro di fronte della cappella gentilizia di casa Amatucci, esistente nella chiesa di S. Antonio Abate. Tutti i successivi Amatucci svolsero un ruolo importante nella storia successiva di San Potito, molti in veste di Sindaco fino al 1980, data di definitiva uscita di scena di tale famiglia.
Rimandiamo ad un interessantissimo testo dedicato alla gestione delle notevoli proprietà della famiglia dei Baroni Amatucci, scritto da Giuseppe Moricola ed intitolato "Che fare? Dagli appunti di un proprietario irpino alla fine dell'Ottocento", reperibile presso il Municipio.
San Potito diede i natali a Pirrantonio De Laudisio, giudice regio nel 1576, Salvatore Molinaro, Priore del monastero di S. Giacomo di Benevento nel 1578, Antonio Amatucci, Cavaliere della Corona d'Italia.
Il nome "San Potito" venne già utilizzato in epoca angioina e soltanto a partire dal 1860 venne integrato da "Ultra", in ricordo dell'antica appartenenza a Principato Utra (o Ulteriore), quando divenne Comune a sè.