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Stando alla Tradizione, seguita da Francesco Scandone, ma contestata da altri autori (es. Lanzoni) e posta in dubbio dalla Diocesi di Avellino, S. Modestino sarebbe stato martirizzato con il Sacerdote Fiorentino ed il Diacono Flaviano il 15 febbraio 311.
Ciò premesso, sintetizziamo il racconto fatto dal citato Scandone nel suo "Storia di Avellino".
Per eludere il divieto di sepoltura dei condannati, i Cristiani fedeli ai Martiri Modestino, Fiorentino e Flaviano posero delle scritte sul corpo dei defunti, riportandone il nome e la "dignità che in vita avevano esercitata". Per dare degna sepoltura ai corpi, occultandoli opportunamente per evitare ritorsioni, questi vennero riposti nella tomba che Marco Ofillio aveva fatto approntare per il padre. Era già pronta la lastra di marmo che avrebbe dovuto chiudere la tomba, su cui era stata incisa la scritta "MARCUS OFILLIUS MARCO OFILLIO MONUMENTUM POSUIT".
Quando furono scoperti i resti dei tre Martiri, tale lastra fu ritrovata insieme alle reliquie. Lo Scandone spiegò che i fedeli Cristiani agirono in tal modo, perchè "Non si poteva apporla al tumulo, per non commettere una sacrilega falsità. Lasciarla da parte, era pericoloso, perchè avrebbe potuto fornire un indizio per una eventuale ricerca dei corpi dei martiri, non senza tradire la complicità di M. Ofillio con i pietosi seppellitori. Questi opinarono dunque che il miglior partito era quello di nasconderla nell'interno della tomba stessa".
Nel 313, quindi a poco più di un anno dal Martirio di S. Modestino e dei suoi sfortunati compagni, venne emanato l'Editto di Costantino. E' probabile che i Cristiani del Vico Pretorio, nel Pagus di Urbinianum, sopravvissuti alle persecuzioni, avessero posto un qualche simbolo a ricordo del Martirio, che col tempo "divenne una chiesetta, dedicata al maggiore in dignità fra i tre martiri, mentre delle loro reliquie, chiuse in gran segreto nella tomba altrui, si perdè persino il ricordo. Certo è che la chiesetta, anche dopo il ciclone dell'invasione longobarda, conservò l'antico titolo; essa era aperta al culto pubblico, - come attestano i documenti alla metà del secolo XI (in nota lo Scandone indicò le date del 1052 e 1077), più di un secolo prima che tali reliquie fossero scoperte, e trasportate in Avellino. Molti sono i docc., che ricordano la chiesa, anche nei secoli seguenti, e la contrada adiacente, che, con una fontana, ne prese il nome. Ma non caddero in dimenticanza neppure gli antichi nomi dei luoghi di Preturo e di Urbiniano".
Nel corso del tempo, i documenti i cui estremi vennero indicati in nota dallo Scandone, consentono di vedere come al nome Urbinianum si sia sostituito quello di Valle. Il pagus Urbinianum, alla fine del XII secolo fu indicato come "Casale", come risulta anche in un documento del 1290, dove si legge "in caput casalis Urbiniani". Lo Scandone suppose che nel 1166, col ritrovamento delle reliquie dei tre Martiri, all'antico nucleo di abitazioni di Urbinianum venne dato il nome di "Valle dei Santi", e poichè Casale di Valle dei Santi doveva essere troppo lungo, si disse solo Casale di Valle, o ancora più sinteticamente Valle.
La traslazione delle reliquie di S. Modestino da Urbinianum alla Cattedrale di S. Maria, poi Duomo di Avellino, avvenuta nella settima decade del 1166, venne descritta dal Vescovo Ruggiero (1226-1242), successore di Guglielmo (1166-1206), secondo quanto riferito da Scipione Bellabona in "Avellino Sacra", dove troverà il suo posto tra i documenti normanni.
Tutto derivò dalla ricerca di antichi marmi che veniva effettuata nel territorio di Avellino per abbellire la "fabrica nova" del Duomo, iniziata nel 1132 dal Vescovo Roberto (1131-1144), continuata dal suo successore Vescovo Vigilanzio (1145-1165?). Il Vescovo Guglielmo aveva adocchiato alcune colonne del "Pretorio" e particolarmente una, monolitica. Tali ruderi, come si espresse un documento del 1299, si trovavano in "una terra con vigna sita nella pertinenze di Avellino, nel luogo, detto "Praetorium"". Inoltre, un documento del 1192 si chiariva che si trattava di una "terra in loco Preturo" confinante con altra terra dello episcopio di Avellino".
Stando alla Tradizione, in un giorno di estate del 1166 il Vescovo Guglielmo portò con se degli operai per prelevare la colonna e portarla ad Avellino. Mentre i manovali erano intenti a liberare la base della colonna, i colpi rimbombavano, come a significare che vi fosse del vuoto. Venne ritrovata la tomba e riesumati i tre corpi, che vennero identificati, grazie alla lettura dei nomi, tenendo conto che S. Modestino aveva sul petto la Colomba d'argento, simbolo della sua dignità episcopale. Poichè i Mercoglianesi erano anch'essi devoti a S. Modestino, se fossero venuti a conoscenza della scoperta, avrebbero certamente impedito il trasferimento ad Avellino, da cui Mercogliano era ormai autonoma, essendo non più Casale ma feudo separato, tanto che in un documento del 1152 si legge "Rogerius de Aquila dixit ... de Merculiano, quod est feudum duorum militum".
Occorreva fare tutto in segreto. Perciò il Vescovo Guglielmo convocò "uno de' primarii cittadini avellinesi, ch'era in quei pressi, dove possedeva alcuni poderi. A quell'uomo, probo e degno di stima, per nome Guglielmo de Archidiacono - non appartenente al clero, e perciò insospettabile, - il vescovo, in gran segreto affidò la cassetta, in cui aveva riposte le sacre ossa. Poi lo fece avviar solo, come se colui, per suoi affari, volesse tornare in città. Si pose poi in cammino egli stesso, accompagnato da una folla di avellinesi, che per necessità, se non a bello studio, aveva fatti venire a Pretorio, come se dovessero cooperare a spingere innanzi, sui rulli già apprestati, quel gran fusto di colonna. In tal modo il vescovo riuscì ad eludere ogni sospetto dei mercoglianesi e degli abitanti della frazione di Urbiniano. Costoro, infatti, osservando che il Vescovo si occupava soltanto del trasporto della pietra scolpita si allontanarono, tornando in pace alle loro case".
Non appena il De Archidiacono lasciò il sentiero campestre e raggiunse la "Via Campanina", si diffuse la notizia del ritrovamento delle reliquie e della loro traslazione in atto. Nel frattempo, il Vescovo e le persone che lo accompagnavano per il trasporto della colonna, raggiunsero il De Archidiacono, e alla presenza di tantissimi fedeli accorsi da Avellino, venne aperta la cassetta con le reliquie e mostrata al pubblico, che ovviamente festante cominciò ad intonare canti sacri e grida di felicità. Una volta condotte le reliquie al Duomo, vennero esposte alla pubblica venerazione.