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Il territorio di Cairano venne frequentato ed abitato sin dall'Età del ferro, come confermarono i ritrovamenti archeologici, frutto di diverse campagne di scavo, che individuarono un insediamento ed una necropoli con tombe a fossa.
I reperti archeologici sono custoditi presso il Museo Irpino di Avellino. Si tratta di reperti unici, tanto che gli studiosi coniarono la denominazione di "Cultura di Cairano ed Oliveto Citra". Tali reperti archeologici, dalla raffinata lavorazione, dimostrano che in Irpinia, tra il IX ed il VII secolo A.C., vivevano popolazioni che avevano raggiunto un elevato livello di sviluppo, tanto da lavorare abilmente i metalli.
Nelle tombe a fossa vennero rinvenute delle spille (fibulae) ad occhiali o munite di arco a staffa, elmi di bronzo, vasi di terracotta, coltelli ricurvi, rasoi.
All'età romana risalgono dei reperti rinvenuti nelle località Rasale, Ischia della Corte ed a valle del paese.
La prima citazione del borgo medioevale risale al 1096, quando era definito "Castellum Carissanum". Tale Castello, eretto al tempo dei Longobardi nel punto più alto della collina, venne totalmente ricostruito in epoca normanna, quando feudatari erano i Balvano (o Balbano).
Durante il Medioevo, funse da fortificazione di Conza, per la sua strategica posizione panoramica. Successivi feudatari furono i Del Balzo, i Gesualdo, i Ludovisi, i Cimadoro (verso la metà del XVII secolo, con presumibile trasformazione della struttura difensiva distrutta nel Medioevo in residenza gentilizia) ed i Garofalo.
Cairano diede i natali al musicista Carlo Di Marzio, al giurista Michele De Stefano, allo storico sacerdote Sabino Amato ed a Eugenio Malossi, inventore del "Regolo Malossi", utilizzato per l'educazione di ciechi e sordi.
Per quanto attiene alla questione etimologica, è possibile che il nome del paese derivi dalla scoperta di un altare dedicato nell'antichità al Dio Ciano.
La creazione a valle di Cairano dell'invaso artificiale di Conza, che si vede nell'immagine se ha apportato notevoli benefici per quanto riguarda la gestione delle acque irpine, ha creato alcuni problemi lamentatici dai Cairanesi incontrati: cambiamento del clima (umidità e nebbia prima assenti), arrivo di insetti (es. zanzare), eventi sgradevoli (cattivo odore che si sente nel paese quando le acque dell'invaso vengono rilasciate per alimentare il fiume Ofanto. Trattandosi di acque "ferme", il fenomeno è chiaramente comprensibile).
L'immagine che vi proponiamo mostra una ruspa che ha demolito una costruzione in pietra di Cairano, nel suo centro storico. Riteniamo che tali atti, costituiscano una "violenza" alla storia di Cairano, che come tanti Comuni dell'Irpinia avevano il centro storico caratterizzato dalla presenza di palazzine in pietra. Si tratta, in sostanza, di una rimozione, cancellazione della memoria storica del paese.
Nel 1963, a Cairano fu girato il lungometraggio "La donnaccia", tratto da un libro di Paolo Speranza. La produzione, che sconvolse le abitudini dei Cairanesi, li impiegò tutti, anche con particine minute. Scomparsa, nel 1994, la pellicola venne ritrovata grazie alle ricerche dell'allora Sindaco Luigi D'Angelis. La pellicola, per la storia di Cairano, è particolarmente importante, perchè mostra le tradizioni, gli usi e costumi dell'epoca. "Donnaccia" era una Cairanese emigrata, Mariarosa, costretta a tornare al natio paese in quanto scacciata con foglio di via dalla città in cui si era trasferita, poichè vi esercitava la prostituzione. Per la vergogna, la famiglia di origine la ripudiò. Non avendo di che sfamarsi, Mariarosa fu costretta a prostituirsi nuovamente, concedendosi per pochi soldi o cibarie agli uomini del paese o dei paesi limitrofi. Uno di questi, si innamorò di lei, testimoniò in suo favore salvandola dall'accusa di adescamento e le chiese di sposarlo. L'amore osteggiato dai paesani, venne favorito dal parroco a cui la donna in confessione aveva rivelato il proposito matrimoniale. Il matrimonio segnò una svolta nella vita della sventurata donna.
Va notato che "Donnaccia" è un titolo allusivo, visto che tale termine dispregiativo veniva usato dai Cairanesi per designare gli aridi terreni circostanti il loro paese, che tanta fatica richiedevano per assicurare la mera sussistenza.