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Raggiungendo il punto più elevato della collina su cui insiste Calitri, la vista è colpita da un enorme ammasso di ruderi ed edifici in restauro, che costituiscono ciò che rimane del Castello medioevale e del Palazzo baronale Mirelli. Lungo ciò che prima del terremoto del 23 novembre 1980 rappresentava il cuore del paese, Corso Matteotti, tra i ruderi delle abitazioni distrutte venne scoperta una torre, che ha formato oggetto di restauro, che faceva parte delle mura del Castello.
Sicuramente già eretto nel XIII secolo, in quanto indicato negli "Statuta officiorum" del Regno svevo pubblicati dal Winckelmann, il Castrum Calitri, nel 1240, allora di pertinenza imperiale sveva, venne restaurato e potenziato, nel quadro del rafforzamento delle strutture difensive dell'Italia meridionale, secondo la volontà dell'Imperatore Federico II di Svevia.
Ciò spiega perchè durante la successiva dominazione angioina il citato castrum era uno dei fortilizi difensivi efficienti (una quarantina) rientranti nel "Principato e Terra Beneventana". Nel 1276, il Re Carlo d'Angiò concesse il Castello al Barone di Fleury. La struttura andò poi ai Del Balzo e, nel 1304, ai Gesualdo, che lo tennero fino all'estinzione del Casato, avvenuta nel 1629 con la morte di Isabella.
I Gesualdo, elessero il Castello a loro residenza, che migliorarono ed ampliarono, sottoponendolo a continui lavori di manutenzione e restauro, anche per porre rimedio ai danni provocati da diversi terremoti succedutisi tra il XVI e XVII secolo, e particolarmente in relazione a quello devastante del 1561, che dissestò l'intero paese, quando era feudatario Luigi IV Gesualdo.
Nel XVII secolo, il Castello andò ai Ludovisi, i quali, nel 1676, lo cedettero, unitamente ai feudi di Calitri, Castiglione e S. Maria in Elce, ai nuovi feudatari Mirelli. Prima della fine del XVIII secolo, proprio i feudatari Mirelli incaricarono il Chianelli, di procedere ad una valutazione della struttura e dei danni da questa riportati a seguito dei terremoti del 1688 e del 1692, che non dovettero essere eccessivi, se dalla relazione estimativa risultò che si trattava di una "bella macchina di fabbrica". Ciò doveva corrispondere alla realtà, visto che anche D. Castellano, che visitò il Castello nel 1691, nella "Cronica conzana", esaltò la bellezza e la sicurezza della struttura, cinta da mura, quattro porte, due ponti levatoi e centinaia di stanze. Il drammatico terremoto dell'8 settembre 1694, rase quasi completamente al suolo il Castello, oltre a provocare danni diffusi nel paese e circondario (i morti furono circa 300 e migliaia i feriti).
Tale drammatica circostanza, persuase i superstiti feudatari Mirelli ad abbandonare definitivamente il vecchio sito, ormai ridotto ad un ammasso informe di ruderi, e riedificare un palazzo gentilizio po Palazzo baronale, detto Palazzo Mirelli, in posizione meno elevata, non lontano dal Monastero delle Suore Benedettine e della Chiesa Madre di S. Canio.
Pertanto, restiamo dubbiosi sulla rappresentazione del Castello di Calitri, che, nel 1702, fece il Pacichelli ne "Il Regno di Napoli in prospettiva", che rappresentò una struttura difensiva ben fortificata con agli angoli quattro imponenti torri, nel senso che è difficile ipotizzare, a soli otto anni dal drammatico terremoto che l'aveva raso al suolo, la ricostruzione del Castello, fermo restando, per quanto già detto, che il sito era stato abbandonato in favore di uno più a valle.
Comunque stiano le cose, i Mirelli furono titolari dei diritti sul feudo fino all'abolizione dei diritti feudali (1806).
Sin dal XVIII secolo ed ancora di più successivamente, il Borgo Castello fu sottoposto a profondi interventi di modifica, che ne alterarono l'originaria configurazione. Ad aggravare le cose, intervennero ulteriori terremoti, di cui si ricordano per intensità quelli del 1910 e del 1980.
Allo stato, tutta l'area è oggetto di profondi lavori di ricostruzione e restauro curati dalla Sovrintendenza di Salerno e Avellino.
In data 21 agosto 2001, nei locali del Borgo Castello venne inaugurata la Mostra Permanente della Ceramica Calitrana.