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Pur in assenza di elementi certi, è lecito supporre la frequentazione del territorio dell'attuale Capriglia Irpina sin da epoche remote. Se è vero che finora non vi è traccia di un Oppidum presso cui si sarebbero potute rifugiare le popolazioni locali di fronte all'incalzare dei Romani, nè di qualche luogo di sepoltura dei relativi morti, è altrettanto vero che non lontano dal paese sussistono delle stazioni (Starze), realizzate per offrire riparo a persone ed animali durante gli spostamenti da un Oppidum all'altro (forse riutilizzate ed ampliate successivamente dai Romani conquistatori per farne delle ville-masserie).
Arturo Bascetta è andato oltre, avendo ipotizzato che nei pressi di Capriglia, in direzione di S. Angelo a Scala, in località Alfedana, fosse sorto un Oppidum successivo ad una strage perpetrata dai Romani, che spinse le popolazioni locali ad erigere fortificazioni, che contenessero edifici, persone ed animali. In particolare, si sarebbe trattato di un avamposto (recintato) di uno stabile insediamento posto sulle pendici di un monte.
Ad ogni modo, i diversi ritrovamenti archeologici nelle località Soprappiano ed Ischia, oltre alle necropoli ed alle ville rustiche, ed oggetti rinvenuti in tombe, fanno ritenere almeno certa una frequentazione al tempo di Cristo ed una relazione tra le vicende di Capriglia con quelle della prossima Abellinum (nel territorio dell'attuale Atripalda).
I Romani utilizzarono l'acqua di una sorgente e di una cascatina, ubicate in una delle zone più antiche di Capriglia denominata Ischia, e la incanalarono in condotte scavate anche nella roccia.
I pochi superstiti locali alla conquista romana sopravvissero di caccia e pastorizia, tra il IV ed il VI secolo, fino a quando il territorio di Capriglia ricadde nelle Terre Beneventane (sotto i Longobardi, 570-1074).
La storia di Capriglia si lega inscindibilmente alla costruzione di un Eremo dedicato a S. Maria, eretto tra il V ed il VI secolo su iniziativa del futuro S. Vitaliano, Vescovo di Capua. Tale struttura sarebbe sorta sui resti di un tempio pagano dedicato al culto della dea pagana Cibele. Vi è però chi pospone tale edificazione al tempo di Romualdo II (che regnò tra il 690-720). Attorno a tale Eremo sorse il Casale di Capriglia-Embreciera denominato Santa Maria, prima che venisse eretto il vicino castello di Summonte (castrum submonte). Presso tale Casale si fecero confluire famiglie di vassalli con servi della gleba col compito di dissodare e lavorare la terra, onde produrre rendite.
Un lungo periodo di lotte fratricide tra Longobardi terminò nell'851, con la definizione della linea di separazione tra il Gastaldato di Salerno e quello di Benevento "per serram montis virgini", cioè lungo il Monte Partenio (il Guass, amministratore longobardo locale restò fedele al signore di Benevento erigendo il citato castello di Summonte).
Un atto di compravendita di un castagneto presso la chiesa del 1025 ed un documento del 1174 confermano l'esistenza della chiesa di S. Maria ad Submontem (Santa Maria del Monte), distinta dall'omonima e confinante S. Maria del Preposito (situata in località Mandre, citata per la prima volta nel 1125), e non coincidente con questa come, invece, vuole il Mongelli: l'aggiunta "Preposito" sottolineerebbe la sudditanza all'abate di Montevergine, mentre S. Maria del Monte apparteneva al monastero di S. Modesto di Benevento. Entrambe le strutture comunque erano antecedenti al Monastero in vetta al monte, ed ubicate ai piedi della montagna.
Mentre il castello di Summonte era abitato da Longobardi, le terre erano coltivate dai contadini del Casale di S. Maria (appartenente al monastero di S. Modesto, Benevento), che col tempo si arricchirono di castagneti, colture e soprattutto, della coltivazione di gelsi neri da baco per la produzione di seta, come risulta da un atto del 1037. In altre parole, Capriglia si stava affermando come nucleo economicamente autosufficiente. Anzi ipotizzando la pregressa introduzione bizantina in quest'area della seta dall'Oriente, Arturo Bascetta ha supposto che i Longobardi avessero fortificato Summonte e le zone adiacenti proprio per salvaguardare la preziosa economia della seta.
Nel 1174 il monastero di S. Modesto di Benevento cedette S. Maria a Montevergine.
Col sopraggiungere dei Normanni (XI-XII secolo), dalla Contea di Summonte venne stralciato il territorio del vecchio contado longobardo di S. Maria, per farlo rientrare in un nuovo feudo a presidio del quale venne eretta una nuova fortezza: il Castrum Caprilii, proprietà di un certo Rinaldo dal 1142 al 1156 e di Ruggiero de Farneto dal 1169, poi dei Francisio di Monteforte (e Malerba) dal 1172 fino agli Svevi, che privarono i Signori Francisio prima e de Hoemburg poi, dei loro feudi, in quanto mostratisi ostili verso Federico II. Pertanto, durante la dominazione Sveva, i beni dei citati feudatari, tra cui Capriglia, vennero incamerati dalla Regia Corte di Napoli, e divennero Terra Regia di Casa Svevia.
Vennero poi gli Angioini, che prima riassorbirono Capriglia nelle Terre Beneventane, poi le ridiedero autonomia (durante tale periodo nasce l'Università di Capriglia, comune a sè, il cui simbolo era uno scudo che racchiude una capra dei nobili Caprioli su un monte roccioso a tre punte; il monte indicava l'appartenenza al Principato Ultra di Montefusco).
Nuovi feudatari furono nel 1290 Ruggiero de Monilis, nel 1316 Giacomo de Monilis, nel 1345 Niccolò d'Aquino, Barone di S. Angelo a Scala (in cui ricadeva Capriglia), che acquistò da Giovanni I, e poi, nel 1414 Antonio e Matteo d'Aquino.
Nel 1419 la regina Giovanna II diede i feudi della Baronia a Ottimo Caracciolo Rocco ed alla moglie Caterina Ruffo. Ma i Caracciolo vennero privati del feudo dagli Aragonesi, tornando alla Corte Regia, che lo vendette a Diomede Carafa nel 1466, padre del futuro Papa Paolo IV.
I Carafa tennero Capriglia fino al 1586, quando il feudo relativo ritornò alla Regia Corte, che lo vendette per 46000 ducati a Lucrezia Arcella, che lo cedette nel 1587 a Giuseppe Carafa, il cui figlio Diomede III, nel 1595, lo passò ad Ottavio De Ponte, la cui famiglia tenne Capriglia fino al 1618. In tale data, per 17000 ducati, Antonio Marino De Ponte la vendette a Marino Caracciolo, Principe di Avellino, alla cui morte, nel 1633 il feudo passò al figlio Francesco e dal 1652 ai napoletani Schipani. I nuovi Signori gestirono il feudo tramite un agente generale, che concesse a vario titolo (es. enfiteusi) i terreni a coloro che ne facevano richiesta, che furono essenzialmente Summontesi, anche perchè i Caprigliesi patirono la peste del 1656 molto più che i loro vicini.
Durante il 1700, l'Università, consolidatasi, impose una tassa catastale agli abitanti del paese, che durante tale secolo continuarono a pagare anche la tassa sui fuochi (famiglie) alla Regia Corte o ad un suo incaricato. Nel frattempo Capriglia, parte del feudo di S.Angelo ad Scalam, passò nel 1752 da Gennaro Salvi alla Machesa Antonia Salvi, e questa trasmise solo Capriglia a Francesco Ricciardi di Napoli. La popolazione di Capriglia era oppressa dalla tassazione, e ciò originò non pochi dissidi tra popolo ed Università e tra questa ed il feudatario. Uno di questi Gennaro Amorosi, nel 1768 introdusse una nuova rendita, sulla Cappellania, celebrazione della messa quotidiana nella Chiesa Madre o nella cappella del palazzo.
L'8 settembre 1775 il Signore Gaetano Amoretti morì senza lasciare eredi ed il feudo Capriglia da lui comprato per 17000 ducati, venne incamerato dalla Regia Corte, mentre ricchezze notevoli in beni, monete e rendite e crediti andarono al Regio fisco. Quest'ultimo ebbe molti problemi nel determinare esattamente i suoi diritti, dato che la la descrizione delle rendite feudali era alquanto confusa ed incerta, le scritture attinenti non esibite ed, ovviamente, le persone coinvolte avevano interesse a nascondere i loro debiti. Il tribunale Regio aprì un'inchiesta, il feudo fu sequestrato, si emanò un bando di convocazione di tutti quelli che "sapevano" (che ovviamente andò deserto), l'Università confermò quanto precedentemente detto e solo precisò meglio la sua posizione. Solo dopo ben otto mesi di duro lavoro si riuscirono a scovare tutti gli evasori. Alla fine, delineato il quadro complessivo, il Regio fisco incrementò le rendite del feudo, facendo aumentare il valore della Terra di Capriglia, che venne venduta nel 1780 a Nicola Macedonio per 42000 ducati, che la tenne fino al 1806, quando sotto la dominazione francese, vi fu l'abolizione della feudalità e delle Università, e la creazione della Provincia di Avellino.
Il ritorno dei Borboni ingenerò malcontenti, per le nuove tasse; i pochi Caprigliesi liberali aderirono ai moti 1820-21 e molti Caprigliesi ai moti del 1848-49. Anche Capriglia subì il fenomeno del brigantaggio e le connesse le scorribande dei banditi (anche ex soldati borbonici) che vissero di rapina e rapimenti.
A partire dal 1861 Capriglia fece parte del Mandamento di Mercogliano.
La fine del XIX secolo fu alquanto dura, visto che il Luddismo, il movimento degli operai che si opponeva all'introduzione delle macchine nelle fabbriche, si fece sentire anche a Capriglia nel 1898, anno in cui si registrò anche la rivolta contro gli amministratori, che vide l'intervento della forza pubblica per le elezioni amministrative.
Assai incerta e disputata è l'origine del nome del paese, anche se non sembra ardito ipotizzare un legame con la pastorizia, che a lungo deve essere stata esercitata nell'area (Capra-Capriglia). Arturo Bascetta nega tale impostazione, ritenendo che il nome del paese si ricollegherebbe alla nobile famiglia Capriolo, che visse a Capriglia fino al XVIII secolo. Neanche fondata sarebbe l'altra tesi che fa discendere l'etimologia di Capriglia da un'epigrafe su cui si leggeva "Cara-Pila", che venne ritenuta falsa dal Mommsen (forse il più grande archeologo di tutti i tempi).
Per approfondimenti, rimandiamo alla lettura integrale di "Capriglia, Il tesoro del Marchese, La prima chiesetta di Monte Vergine e il baco da seta nell'anno 1000 dC", di Arturo Bascetta, ABE Edizioni, 10 Euro.