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Francesco Antonio Cappone

Francesco Antonio Cappone nacque a Conza nel 1598, stando a quanto indicato su di una lapide sul pavimento della Chiesa "Mater Dei" di Napoli, da cui risulta anche che morì a 77 anni, nel 1675.

Cultore delle lingue classiche Latino e Greco, ordinato sacerdote, rinunziò al canonicato e si recò a Napoli, dove si fece conoscere per le sue opere, divenendo membro dell'Accademia degli Oziosi, creata nel 1611 da Giovanbattista Manso (che venne sciolta all'inizio del XVIII secolo).

Non è noto quanto tempo il poeta restò a Napoli. Tuttavia, diversi elementi, che qui tralasciamo, fanno ritenere che abbia fatto ritorno a Conza, già prima del 1643, in cui morì sua madre, Giulia Margiotta.

Dopo essere stato Vicario Generale del Vescovo di Muro, Giovan Carlo Coppola, fece presumibilmente ritorno a Napoli, sul finire della prima metà del XVII secolo.

La sua ricca produzione letteraria comprende sia poesie religiose che dediche a personaggi illustri, tanto ecclesiastici che laici.

Tanto elevata fu la sua poetica, che uno dei membri dell'Accademia degli Oziosi, il Cusano addirittura lo avvicinò ad Orazio.

I componimenti del Cappone che proponiamo di seguito, rivestono, a nostro avviso, interesse in relazione all'Accademia degli Oziosi o in merito alla storia di Conza.

ALL'ACCADEMIA DEGLI OZIOSI

"Ozio caro a le Muse, ozio beato,
In cui pigro non mai posa l'ingegno
Felice me, s'ov'io posar fui degno
L'arpa mi temprerà la bella Erato.
Per l'erto monte a' tuoi seguaci a lato
Non fatiche o disagi io prendo a sdegno,
Che s'alte vie con ratto piede io segno
M'asciugherà Calliope il crin sudato.
Per te poggiando in su le cime elette
Di Pindo, ov'altrui pie' di rado sale,
Febo a gli accenti (niei vita promette.
Or non più colpo io temerò letale,
Perchè, se il tempo avventerà saette,
L'aquila tua mi schermirà con l'ale."

Nel seguente sonetto Francesco Antonio Cappone ricorda malinconicamente i ruderi di Conza:

"Consa, che scorse i bellicosi errori
Africani e lor die' nobil soggiorno,
Giace e, del tempo fatta obbrobrio e scorno,
Calcan arene ed erbe i suoi splendori.
Quasi a le esequie sue tra foschi orrori
Più d'una face il cielo appresta intorno,
Ma, de' suoi spento ancor l' estremo giorno,
Sol del pianto non ha gli ultimi onori.
Ma quei sussurri e quel fragor ch' io sento
Confuso in un colà d'acque e di fronde
Non rassembran formar flebile accento?
Chi sa, se tai ruine in sa le sponde
L'Aufido mira, e al sospirar del vento
Col rauco mormorio piange de I'onde!".

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