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La frequentazione del territorio conzano risalente al Neolitico, va sicuramente riconnessa alla sua felice posizione tra i due fiumi Ofanto e Sele, a dominio dello strategico passaggio naturale detto "Sella di Conza", che pone in comunicazione i versanti appenninici dell'Adriatico e del Tirreno, finendo per rendere Conza uno spartiacque, oltre che geografico, anche economico e culturale tra le genti dell'Apulia e della Daunia ad oriente, quelle della Lucania a sud-est, e quelle della Campania propriamente detta ad occidente.
Stando ai ritrovamenti archeologici, durante l'Età del Ferro, gli antichi abitatori si insediarono nelle località S. Macello e S. Cataldo (fine del VII-V sec. A.C.). A riguardo, si parla di Cultura protostorica di Oliveto-Cairano, di cui, nel 1978, vennero rinvenute una serie di tombe ad inumazione o a fossa. In origine, è verosimile supporre che un esiguo numero di nuclei familiari, che formavano parte di un gruppo legato da rapporti di sangue, avesse eretto delle capanne nella pianura, nei pressi di sorgenti di acqua potabile e dei corsi d'acqua, ai piedi della collina dove a pochi chilometri di distanza in linea d'aria, a circa 590 metri s.l.m., le popolazioni conzane si sarebbero successivamente spostate, erigendo l'insediamento antico e medioevale, sia per motivi difensivi, sia in relazione all'accrescimento numerico della comunità originariamente insediatasi in pianura.
A partire dal V secolo A.C., a Compsa si insediarono gli Hirpini. In merito all'arrivo dei nostri progenitori ed al periodo immediatamente successivo si sa assai poco, per la carenza dei ritrovamenti archeologici, anche a causa di reperti sicuramente ritrovati in loco e "volatilizzasisi" ...... Un interessantissimo reperto archeologico, di cui purtroppo non sono noti il luogo e le modalità di rinvenimento, è costituito da un'iscrizione in lingua osca (la lingua degli Hirpini), ma redatta utilizzando l'alfabeto greco (ionico-tarantino), rinvenuta su di un elmo di tipo "attico-calcidiese" custodito presso il Museo Poldi-Pezzoli di Milano (numero d'inventario 2418, già 872), ritenuto, in base alla tipologia di elmo ed all'analisi paleografica, risalente ai primi decenni del IV secolo A.C..
Il testo dell'iscrizione, reso in parte più chiaro da lavori di restauro effettuati negli anni Cinquanta, recita:
"vereiae com(p)sanae metapontinae/sub medicia po(--)e(-)joa(---)".
I vari studiosi non sono stati univoci nel tradurre il testo.
In passato, all'elmo veniva ascritta una funzione votiva, volendosi interpretare l'iscrizione in funzione di una dedica dell'elmo.
Le interpretazioni più recenti lo intendono nel senso che nella prima parte si parla di un organismo detto vereia (vereiae è il genitivo) seguito da due aggettivi concordanti riferiti a Compsa ed alla città di Metaponto. La seconda parte dell'iscrizione inequivocabilmente fa riferimento al magistrato (meddiss o meddix) a cui la vereia era sottoposta (perciò è scritto sub medicia), facendo seguire presumibilmente il nome del magistrato, leggibile solo in alcune lettere.
Pertanto, oggi, l'iscrizione non viene più intesa come dedica, ma come mera indicazione della proprietà dell'elmo, cioè appartenente ad una vereia Compsana e Metapontina, guidata da un meddis il cui nome, giunto a noi solo espresso da poche lettere, non è più ricavabile dall'iscrizione.
Se tale chiave interpretativa è esatta, allora, Metaponto, città della Magna Grecia (e quindi non Osca), nel IV secolo A.C. avrebbe assoldato una vereia formata da viri o milites, cioè, un contingente militare di mercenari hirpini proveniente da Compsa. Ne segue, che l'elmo doveva appartenere al patrimonio della vereia nel complesso e non al singolo mercenario. I caratteri greci utilizzati nell'iscrizione in lingua Osca sull'elmo sarebbero, quindi, spiegati proprio dal fatto che i mercenari compsani erano al soldo della città Magno-Greca Metaponto.
Fu proprio tale circostanza, cioè, l'impiego dei caratteri greci nell'iscrizione, che trasse in inganno il Lupoli, che ascrisse a Compsa un'origine greca, anche per l'affinità del nome della città ad una parola greca che significa elegante, graziosa. Sulla stessa errata posizione si pose il Corcia, che fece risalire la fondazione di Compsa alla colonia greca dei Calcidesi, che dall'isola di Pithecusa o Aenaria (Ischia), da cui avrebbero preso le mosse i Greci che sarebbero approdati sulla terraferma fondando una serie di cittadine, tra cui Compsa.
Del resto, il presunto nome Osco di Compsa, "Comesa", secondo quanto scrisse il Ribezzo (Rivista indo-greco-italica Anno IV p 96), negherebbe tali interpretazioni. E da Comesa, nel corso dei secoli, si sarebbe passati a Compsa, a Comsa (ed anche Cossa), a Consa ed, infine, a Conza.
Come già rilevato trattando dei nostri progenitori, la carenza di fonti che citino specificamente gli Hirpini (e tantomeno i Compsani) fu dovuta al fatto che, all'inizio, i Romani non distinsero tra i popoli con cui si scontrarono nella loro discesa nell'area Sannita-Hirpina, concependo le varie tribù nemiche come un unico popolo, in ciò indotti in errore dal fatto che esse parlavano tutte la stessa lingua, l'Osco.
Solo in epoca successiva, a seguito della penetrazione in territorio nemico, i Romani furono in grado di distinguere tra Pentri, Carruccini, Caudini, Frentani ed Hirpini. Inoltre, la prossimità della potente Compsa ai confini con la Lucania e l'Apulia, ingenerò un'ulteriore confusione, tanto che mentre Livio e Plinio ascrissero correttamente Compsa tra le città dell'Hirpinia, Tolomeo la considerò lucana, mentre il Liber Coloniarum l'incluse nell'Apulia.
Di certo, comunque, gli Hirpini Compsani parteciparono alle tre Guerre Sannitiche (343-290 A.C.). Cluverio scrisse che "Compsa erat Hirpinorum, partis Samnitium, caput". Le notizie più specifiche si ebbero solo con Livio, secondo cui, alla fine del IV secolo A.C., durante la Seconda Guerra Punica, la strategica posizione rivestita da Compsa, quale baluardo a guardia della Valle dell'Ofanto, attrasse l'interesse di Annibale, che, grazie al tradimento del nobile "Compsanus" Stazio Trebio, che aveva indotto in fuga la potente famiglia (o casta sacerdotale) dei Mopsii, legata ai Romani, occupò l'insediamento nel 216 A.C., dopo aver sconfitto i Romani nella battaglia di Canne. Vi depose i suoi beni ed il bottino di guerra ed ordinò al fratello Magone di muoversi con parte delle truppe, onde prendere possesso delle città di quella regione che si fossero ribellate ai Romani e di occupare quelle che non avevano intenzione di passare dalla sua parte.
Purtroppo, nel 214 A.C., a soli due anni dalla sollevazione, come ricordò Livio, Compsa venne riconquistata da Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore, detto lo Scudo di Roma.
I Romani punirono i Compsani ribelli privandoli di buona parte delle loro terre, che vennero confiscate ed attribuite ai Romani, nell'ambito del processo di redistribuzione delle terre verso il termine del II secolo A.C. (Epoca graccana).
Una nuova rivolta degli Hirpini e, quindi, dei Compsani, contro Roma si ebbe durante la Guerra sociale, al principio del I secolo A.C.. Nonostante avessero inflitto una nuova sconfitta agli insorti, i Romani furono tuttavia benevoli, dato che non si ha notizia di saccheggi o distruzioni, forse anche per il fatto che a capo dei militi romani vi fosse un luogotente di Silla, di origine hirpine, Miniatio Magio, e probabilmente anche anche in considerazione del fatto che a Compsa, ancora era consistente la presenza di sostenitori dell'integrazione romana. Il che giustifica anche la mancata creazione di una colonia.
Infatti, stando a Cicerone, Compsa venne elevata a Municipium, come risulta da diverse iscrizioni lapidee, su una delle quali è inciso "Res Publica Cossana", (Cossa e Compsa sin da tempi remoti vennero spesso usate intercambiabilmente), dotato di autonomia amministrativa, facendo rientrare la popolazione nell'ambito della tribù Galeria.
Con l'assorbimento di Compsa ai domini romani, la città assunse la configurazione tipica, con Foro, Terme, Anfiteatro, cisterna, ecc.. Presso l'Ofanto venne scoperto casualmente un ponte romano mentre si stava prelevando della ghiaia dal letto del fiume. Si ha notizia di un tempio dedicato a Giove Vicilinus, i cui resti erano visibili in un luogo detto Voghino in vicinanza di Conza (Romanelli).
Diocleziano (284-305), che divise l'Impero Romano in d'Occidente e d'Oriente ed introdusse la Tetrarchia (governo a quattro) dell'Impero, a mezzo di editti imperiali, apportò importanti riforme amministrative, come quella dell'aumento del numero delle Province, riducendone l'estensione territoriale, al fine di poterle meglio governare: Comsa ed Aeclanum ricaddero nella giurisdizione del "Corrector Apuliae et Calabriae".
Il crollo dell'Impero Romano d'Occidente non determinò la decadenza di Compsa, che anzi mantenne la sua importanza strategica sotto gli Ostrogoti, che la conquistarono nel 554.
Poi, nel 555, venne conquistata dai Bizantini guidati da Narsete, che dovettero erigere una roccaforte inaccessibile, tanto che Agatia Scolastico, storico bizantino scrisse "propugnaculum firmissimum, munitissimumque castellum".
Nel 568-569, secondo alcuni, o nel 571, secondo altri, Compsa venne conquistata dai Longobardi di Zottone, divenendo parte del Gastaldato di Benevento. Fu proprio da Conza, che nel 639, i Longobardi presero le mosse per conquistare Salerno. Successivamente, le truppe di Grimoaldo IV di Benevento resistettero all'assalto dei Franchi. Inoltre, Ranfone da Conza uccise lo sfidante franco, durante un duello da ordalìa ("Giudizio di Dio", prova fisica il cui risultato nel Medioevo era interpretato come un diretto responso divino ad una data questione dibattuta, ad esempio, stare nel giusto, colpevolezza, ecc.).
Nell'840, Conza venne inclusa nell'istituendo Gastaldato di Salerno, nato per scissione da quello di Benevento. Il periodo della dominazione longobarda vide accrescere l'importanza strategica quale fortilizio di frontiera, presidio contro i Bizantini che occupavano la Puglia. In tale epoca, il Foro perse la sua importanza vitale, visto che si affermò ulteriormente l'area del Castello, ubicata in alto, quale cuore politico-amministrativo di Compsa.
Nell'860, Conza patì l'assedio dei Saraceni.
A causa di una serie di incendi che avrebbero colpito Conza di qui a un millennio, andrà perduta la documentazione storica sulle origini di Conza e sulla elevazione della Cattedrale a sede Arcivescovile.
La ricostruzione del percorso storico la cui documentazione era andata distrutta venne effettuata da Giuseppe Gargano in "Ricerche storiche su Conza", il quale, tuttavia, sottolineò che non sarebbe comunque riuscito ad eliminare ogni dubbio e che di necessità avrebbe dovuto procedere, oltre che da dati ricavati da reperti archeologici, sulla base di elementi tratti da libri e su congetture.
Egli ricordava che secondo l'Ughelli "constat, idque satis firma coniectura, iam inde a sanctorum Apostolorum praedicatione Christianis sacris Compsan fuisse initiatam, utpote Romae propinquam".
Pertanto, l'elevazione a Vescovato di Conza risalirebbe sin dalle origini del Cristianesimo.
Tuttavia, la prima notizia documentale relativa ad un Vescovo di Conza risale solo al 743, ritrovandosi negli atti del Concilio Romano, celebrato dal Papa Zaccaria, a cui prese parte Pelagio, Vescovo di Conza, di cui però, non sono note nè la data dell'investitura, nè quella della morte. Ad ogni modo, sull'esistenza di Pelagio non vi sono dubbi, dato che Ferdinando Ughelli, nel sesto volume della "Italia Sacra", scrisse "Pelagii existentiae certior fides habetur ex vetustissimo codice Cassinensis monasterii bibliothecae". Tale circostanza venne confermata dall'Arcivescovo di Conza (dal 1818 al 1831) Michelarcangelo Lupoli, che nel Sinodo Conzano affermò di aver letto nell'indicato Codice della biblioteca del Monastero di Montecassino, anche il nome "Pelagius Compsae".
Nonostante le ricerche minuziose svolte dal Gargano, occorre fare un salto nel tempo di ben 224 anni per avere notizie certe di un successivo Vescovo di Conza: in un diploma del 967, si legge della donazione fatta da Pandolfo, Principe di Conza, "per la salvezza per la salvezza dell'anima sua e dei genitori e per la remissione di tutti i peccati", della villa di Monticchio a Dio ed al Monastero di S. Michele in Vulture. Il documento citato contiene anche la firma di Pietro, Vescovo di Conza, il quale scomunicava chi avrebbe osato contestare tale donazione.
Nel 990 (data contestata, però, da diversi autori), precisamente il 25 ottobre, un tremendo terremoto rase al suolo quasi la metà di Conza, uccidendone anche il Vescovo, distruggendo interamente Ronza. Il nefasto evento venne ricordato da Romualdo Guarna, che scrisse che dopo l'apparizione per molti giorni di una grande stella con coda (cioè una cometa), "fuit terremotus magnus, qui.... civitatem consanam prope mediam cum episcopo subvertit, multosque homines oppressit. Ronsam totam cum suis hominibus submersit". Stessa versione dell'evento fu data da Leone Ostiense, secondo cui "Terremotus.... Compsanam civitatem prope mediam evertit, eiusque episcopum cum plurimis aliis occidit. Ronsam vero cum universis fere in ea manentibus submersit".
Prima del terremoto del 990, stando a quanto scrisse Giuseppe Galgano, Conza fu "città popolosa, ricca e formidabile, ammirazione e vanto degl'Irpini".
Il periodo post-terremoto 990 fu caratterizzato dall'inizio della decadenza di Compsa.
Con una bolla datata 18 febbraio 1047, il Papa Clemente II confermò l'elezione di Giovanni ad Arcivescovo di Salerno e la sua giurisdizione su alcuni Vescovati, tra cui Conza, il che sta a significare che a quella data la Chiesa conzana fu suffraganea di quella di Salerno, cioè, il suo Vescovo dipendeva dal Metropolita di Salerno.
Tale suffraganeità, cioè dipendenza da Salerno, sicuramente durò almeno fino al 1051. A riguardo, il Fimiani scrisse che pur ignorando il tempo dell'elevazione di Conza a Chiesa Metropolitana ("Compsana sedes quando ita pontifice metropolis sit instituta, ignoramus"), sicuramente era stata suffraganea di Salerno fino all'anno suindicato ("Id certum est suffraganeam metropolitani Salernitani fuisse ad annum MLI"). Ed una conferma documentale di tale affermazione si ritrae da una Bolla datata 22 luglio 1051 del Papa Leone IX a Giovanni, Arcivescovo di Salerno, in cui si legge "licentiam damus ordinandi et consecrandi Episcopos suffraganeos ... Compsie", confermando che a tale data il Vescovo (Episcopos) di Conza (Compsie) era ancora dipendente (suffreganeos) da quello di Salerno.
Guido, ultimo Gastaldo longobardo di Conza (zio di Gisulfo II, ultimo Principe longobardo di Salerno), nel giugno del 1076, dopo aver strenuamente resistito agli assalti dei Normanni guidati da Roberto il Guiscardo, consegnò al vincitore le chiavi di Conza.
Collegando la circostanza ricordata dal Lupoli, che nel 1081 la Cattedra Arcivescovile conzana fosse occupata da un tale Leone ("Leo anno MLXXXI in Compsana Archiepiscopali Cathedra sedit") Giuseppe Gargano, scrisse che proprio tra il 1051 ed il 1081 la Chiesa conzana sarebbe stata elevata al rango arcivescovile, probabilmente per intercessione di Roberto il Guiscardo presso il Papa Gregorio VII, ottenendone l'elevazione a Chiesa metropolitana.
Tuttavia, con una Bolla di Papa Urbano II del 1098, richiesta dal Duca Ruggiero, si fecero rientrare nella giurisdizione ecclesiastica dell'Arcivescovo di Salerno, Alfano, le Chiese di Conza ed Acerenza (ecclesiae Compsana et Acheruntina), già elevate ad Arcivescovati, e le loro suffraganee.
La vasta e potente Archidiocesi di Conza comprendeva 24 paesi, di cui 10 in Provincia di Avellino (Conza, S. Andrea di Conza, Andretta, Cairano, Calitri, Calabritto, Caposele, Quaglietta, Senerchia, Teora), 2 in Provincia di Potenza ed i restanti in provincia di Salerno. Inoltre, sue suffraganee erano le diocesi di Muro Lucano, di Lacedonia, di S. Angelo dei Lombardi, di Bisaccia (unita a quella di S. Angelo da Paolo III, con Lettera apostolica del 3 novembre 1534), di Monteverde (unita a S. Angelo da Pio VII con la Bolla "De utiliori" del 27 giugno 1818), e quella di Satriano, che unitamente a quella di Campagna furono concesse con la medesima Bolla in amministrazione perpetua all'Arcivescovo di Conza.
Nell'XI secolo, l'insediamento urbano raggiunse la configurazione medioevale che l'avrebbe caratterizzato nei secoli successivi, col borgo che cingeva il Castello e la Cattedrale. Se da un lato, i vari Arciverscovi mantennero Comspa al centro della vasta giurisdizione ecclesiastica suindicata, dall'altro, a causa della sua decadenza, tali Arcivescovi mossero, di fatto, la loro sede politico-decisionale prima a Santomenna e poi presso l'Episcopio di Sant'Andrea, in origine un Casale di Conza.
Stentando a ripopolarsi ed a ricrescere, nonostante fosse passato più di un secolo dal tragico terremoto già citato del 990, nel 1120, Stimma (o Itta) Balbani (o Balvano), nipote del Papa Callisto II, Contessa di Conza, spalleggiata dal Vescovo Roberto, si rivolse al potente parente ottenendo che la Cattedrale di Conza venisse elevata a "necropoli benedetta". Callisto II emise una Bolla che prevedeva l'indulgenza di cui avrebbero beneficiato i benefattori della Chiesa, che, precedentemente confessati, qui venivano sepolti una volta defunti, tante furono le salme provenienti persino dal di fuori dei confini dell'Irpinia. Prima di entrare a Conza, i carri funebri erano soliti fermarsi a Teora, per far abbeverare persone ed animali, presso una fontana a nord del paese, che per tale motivo venne detta "Fontana dei Morti".
Nella citata Cattedrale, nel XII secolo, furono collocati i resti mortali del Patrono di Conza, Santo Erberto.
Dei feudatari normanni si ricorda un certo Gionata.
Nel 1227, Enrico de Caprosia, Signore di Rapolla e di Cisterna e Barone della terra di Balvano, confermò al "Venerabile Andrea, Arcivescovo di Conza" la donazione del territorio della Chiesa di Santa Venere, fatta il 1209 da Tracirio de Bisante, signore di Monteverde. Altra donazione a favore della Chiesa di Conza si ebbe, sempre nell'anno 1227, da parte di Blasio di Conza e della moglie Maurilia.
Nel Basso Medioevo Conza divenne parte del dominio imperiale svevo, poi angioina. Dei feudatari che si succedettero nel tempo si ricordano i Balvano, i Del Balzo.
Nel 1465, su istanza dell'Arcivescovo Giovanni dei Conti, il Re Ferdinando I d'Aragona confermò agli abitanti di S. Andrea (che dipendeva da Conza) i medesimi privilegi d'esenzione da tutte le imposte ordinarie e straordinarie e gabelle che erano stati concessi dal Conte Gionata di Balvano con la donazione del 1161.
Nel XVI secolo, Conza sembrò riprendersi sotto la Signoria dei Gesualdo. Tali feudatari, in virtù del diritto concesso da Papa Gregorio XIII, nell'anno "Incarnationis Dominicae MDLXXIX, octavo Kal, iulias", cioè nel 1579, possedevano nella Cattedrale una Cappella sottoposta al loro ius-patronato, dove vennero seppelliti alcuni membri della famiglia.
Conza vide crescere la sua popolazione, che nel 1663 era pari all'incirca a 1700 fuochi (famiglie), concentrate all'interno delle mura, lunghe circa un miglio secondo quanto risulta dalla "Cronica Conzana".
A breve distanza di tempo si successero due terribili terremoti, quello del 14 gennaio 1646 e quello dell'8 settembre del 1694, durante il quale ultimo sisma persero la vita più di 200 persone e che causò il crollo di numerosi edifici, Cattedrale compresa.
Dopo i Gesualdo, venne poi la volta dei feudatari Ludovisi (o Ludovisio) ed i Mirelli-Carafa, fino al termine del XVII secolo.
Ancora una volta, due sucessivi terremoti ne bloccarono la rinascita nel 1688 e 1694, come risulta da una veduta realizzata dal Pacichelli dopo l'ultimo terremoto citato, in cui palese è la precaria situazione del paese, con tante case sventrate dal sisma. Venne poi la volta di un altro tremendo terremoto nel 29 novembre 1732, che distrusse la Cattedrale ed uccise 65 persone, imponendo la ricostruzione della Cattedrale e del Campanile (che così giunsero fino al terremoto del 23 novembre 1980).
Ai citati terremoti fecero seguito degli incendi che distrussero gli antichi documenti, rendendo oltremodo difficoltosa ed incerta la ricostruzione della storia di Conza, civile e religiosa.
Nel 1741 venne realizzata la Croce col simbolo di Conza su basamento in pietra ubicata in Largo Croce (la cui ubicazione attuale è lievemente spostata rispetto all'originaria), nei pressi di Porta Nuova. Nel XIX secolo, Conza si estese lungo Via Ronza, sull'omonima altura, oltre il Largo Croce. Sul colle su cui sorgeva Ronza, a partire dal 1898 venne rimosso l'antico cimitero per consentire l'edificazione di case. Porta Nuova, che consentiva l'accesso al paese, venne abbattuta nel corso degli anni '30.
Nel 1921, Conza perse l'autonomia amministrativa, venendo unita a Bisaccia e Sant'Angelo dei Lombardi, per ritomare indipendente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Sempre nel 1921, l'Arcidiocesi di Conza venne smembrata, mantenendone degli originari ventiquattrro, soltanto i dieci della Provincia di Avellino, e Pescopagano, in Provincia di Potenza, in quanto prossimo a Conza. Conza, mantenne i suoi diritti e privilegi di Chiesa metropolitana, ma venne aggregata a S. Angelo dei Lombardi, il cui titolare, assunse la carica di Arcivescovo di Conza e Vescovo di S. Angelo, di Bisaccia e di Lacedonia.
Se la popolazione, alla fine del XIX secolo approssimava il 1400 Conzani, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, nel 1951 si contavano ben 3443 abitanti. I problemi post-bellici indussero ad emigrare tantissimi paesani, tanto che la popolazione si ridusse alla metà, per riprendere lentamente a crescere nel ventennio tra il 1960 ed il 1980, a causa della riduzione del numero di emigrati e dei nuovi nati (salvo gli anni 1965-1970, quando i più poveri massicciamente fuggirono da Conza).
Prima del terremoto del 23 novembre 1980 i residenti anagrafici erano 1957, quelli effettivi sicuramente meno di circa 600 unità. Il tremendo sisma sopraggiunse in un momento di difficoltà economica e demografica per Conza, nonostante la costruzione della diga per la creazione dell'invaso.
Conza fu il paese più danneggiato dal sisma, come dimostrano le impietose statistiche: l'85% del patrimonio edilizio fu raso al suolo; il 5% subì danni gravi. Inoltre, onde consentire l'effettuazione dei lavori di recupero delle salme e di quanto si poteva ancora salvare, si fu costretti a demolire alcune strutture, al fine di permettere il passaggio dei mezzi meccanici. Il limitato numero di costruzioni meno danneggiate era ubicato sulla collina di Ronza.
A tal punto, le autorità comunali, tenuto conto dell'estrema rischiosità sismica dell'area su cui insisteva la vecchia Conza, colpita da una sequenza impressionante di terremoti nel corso dei secoli, decisero a malincuore di ricostruire il nuovo insediamento più a valle, in una zona pianeggiante detta "Piano delle briglie", ad un livello di 100 metri più in basso rispetto il vecchio paese ed a più di chilometro di distanza.
Il colle su cui insistono i ruderi di Conza vecchia (e quelli romani) è divenuto quasi totalmente di proprietà pubblica, visto che i vecchi proprietari convertirono il loro diritti con quelli relativi alla ricostruzione (ai sensi della legge 219/1981) nel nuovo sito già indicato. Inoltre, in relazione all'enorme importanza storica rivestita dalla collina, nel 1988 venne sottoposta a vincolo archeologico ai sensi del D.L. 42/2004, onde consentire la realizzazione di un Parco archeologico.
Nel 1986 la Sede vescovile venne definitivamente soppressa.
Conza della Campania diede i suoi natali a Didone di Conza, ricordato da Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata, che fu uno dei capitani più valorosi durante la Prima Crociata, al poeta Francesco Antonio Cappone, membro dell'Accademia degli Oziosi, al Duca di Napoli Giovanni il Conzino, al vescovo Pietro da Conza, al teologo Pietro Paolo Parrisio ed al filosofo Prospero dell'Aquila.