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Storia

Nonostante il territorio comunale risultasse già frequentato in epoca romana, come testimoniano i "Cippi Graccani" con iscrizioni di età repubblicana, oggetto di una raccolta privata di una famiglia Parolisana, il vero e proprio borgo sarebbe stato fondato dagli Avellinesi in epoca longobarda (VI secolo) ai limiti del Gastaldato, in qualità di presidio militare. La graduale crescita dell'insediamento, che rimase a lungo allo stadio di mero borgo (fino al XVII secolo), diede luogo assai lentamente ad un tipico aggregato medioevale.

Le prime notizie certe, però, sono posteriori, e si ricollegano a tre distinte fonti. La prima è il Catalogo dei Baroni, in cui Parolise compare quale parte del vicino feudo di S. Barbato (Manocalzati), di proprietà dal 1150 al 1168 al feudatario Manfredo, la seconda è un documento del novembre 1157 da cui risulta l'appartenenza in misura di un quarto ai feudi di Dofeno di S. Barbato, la terza è una Bolla Papale, risalente al 1197, in cui si parla di "Parulisio", con cui il Papa Celestino III confermò i diritti e possedimenti feudali dell'Abbazia di Montevergine (1197-1340).

Parolise cominciò a svilupparsi, anzi ad aggregarsi sotto forma di Casale, attorno alla Torre dell'Orologio o Torre Campanaria, che fungeva da struttura di avvistamento e difesa, consentendo dall'alto della collina di tenere sotto controllo il panorama circostante.

Lo sviluppo urbano procedette con notevole lentezza, in quanto il feudo di proprietà dei Capece e poi a partire dal 1340, per due secoli, parte della Baronia di Candida con Manocalzati e San Potito, feudo dei Filangieri (partendo da Filippo, poi dal 1372 passò a Giacomo, nel 1420 a Caterina ed, infine nel 1438 a Matteo Filangieri), non godeva di una propria autonomia locale, che avrebbe consentito l'accrescimento del Casale in essere e la creazione di nuovi insediamenti.

Al principio del XV secolo il feudo di Parolisi tornò nelle mani dei vecchi Signori Baroni di San Barbato: dapprima andò a Francesco (1505), poi a Giovanni Battista (1535), ed, infine, fu dote di Drusia San Barbato, promessa sposa di Giovan Angelo Angelo Albertino (1570), a cui successe il figlio Gerolamo (1583), che vendette nel 1604, per 10000 ducati, il feudo a Scipione de Posellis, alla cui famiglia rimase fino al 1681, anno della vendita al duca Gerolamo Strambone di Salza, che morì nel 1749. In assenza di discendenti diretti, Parolise assorbito dai possedimenti della Corte Regia, venne da questa girato nel 1751 al Principe di S. Nicandro, Domenico Cattaneo, il cui primogenito, Francesco, nel 1760 cedette il feudo al genovese Giovanni Beno, a cui successe nel 1791 il figlio Francesco, Marchese di Salza e la nipote Carolina Boerio, fino al 1806, anno dell'abolizione dei diritti feudali.

Tra il XVII ed il XVIII secolo si registrò l'espansione del paese lungo l'attuale Via Melfi, dove oggi si trovano i vari edifici gentilizi con portali ottocenteschi, pochi dei quali hanno conservato i cortili tardo-settecenteschi.

Tra la fine del XVIII secolo ed il successivo XIX secolo, si sviluppo la Contrada Serra, che nacque come punto di stazione e che nel corso del tempo assunse la fisionomia di un vero e proprio Casale.

Parolise diede i natali a Don Domenico Sarno (1749-1822), sacerdote, avvocato, scrittore, consigliere di Stato e professore di Diritto Canonico all'Università di Napoli (già proprietario dell'edificio che oggi è noto come palazzo Lombardi), a Don Marciano Marino (1808-1886), Vicario foraneo, che guidò la comunità Parolisiana stimolandone la crescita culturale ed il senso del lavoro, ad Antonio Gherardo Marino, poeta ed insegnante che fece conoscere l'Irpinia attraverso Canti e Rime.

In merito alla questione etimologica, non vi è concordanza circa l'origine del nome del paese, che secondo alcuni deriverebbe dal vocabolo partenopeo "padula" (foneticamente: "parula"), col quale si designa la campagna coltivata, secondo altri si ricollegherebbe a "Praedium Paulisium".

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