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Il primo insediamento nell'area di Abellinum è preistorico, risalente all'età del bronzo, come dimostrano alcuni frammenti di ceramica di tipo appenninico ivi rinvenuti. Sull'originario sito preistorico, si sono sovrapposte dapprima l'oppidum hirpino e successivamente la cittadella romana.
Abellinum, ubicata nell'alta valle del Sabato, fu un'importante insediamento militare e commerciale degli Hirpini, oltre che centro religioso, come risulta da scritti di Tolomeo. Si pensa (Francesco Barra) che l'insediamento, costituito da poche abitazioni di legno con delle fondamenta grezze, fosse protetto da un terrapieno rafforzato da una palizzata in legno.
La vicinanza alle frontiere con la Campania indusse in errore Plinio, che la comprese in quest'ultima. La Tavola Peutingeriana la colloca sulla strada da Benevento a Salerno, alla distanza di 16 miglia romane dalla prima. Plinio scrisse semplicemente di un "Oppidum", ma dal "Liber de Coloniis" risulta che già era una colonia prima dell'epoca dello scrittore romano, probabilmente fin dal secondo triumvirato.
L'hirpina Abellinum, infatti, venne espugnata dai Romani nel 293 A.C., a seguito della sconfitta nella battaglia di Aquilonia, che segnò la conclusione delle guerre sannitiche. Da tale data, e fino alla "Guerra sociale" (91-89 A.C.), Abellinum divenne "civitas foederata", soggetta perciò ad una serie di tributi e prestazioni a favore di Roma, pur mantenendo le antiche regole ed una notevole autonomia amministrativa.
Diverse iscrizioni di epoca imperiale confermano che Abellinum continuò a godere di tale grado sino ad un tardo periodo. Le iscrizioni citano molti magistrati locali e dimostrano che Abellinum era un sito ricco ed importante, almeno fino al tempo di Valentiniano.
Il sito archeologico preistorico, hirpino e romano (visitabile) si trova, in gran parte, non lontano dalla piazza centrale di Atripalda, in località detta "Civita" e comprende una cittadella, un anfiteatro, un acquedotto, delle terme. Furono anche rinvenuti bassorilievi, iscrizioni, altari e molte altre testimonianze antiche. Si tratta di un sito archeologico esteso ed importante, a lungo sottovalutato, tanto che salvo sporadici interventi di scavo, soltanto nel 1962-63 ci si rese conto della rilevanza dell'area archeologica, durante i lavori di costruzione dell'autostrada A16 Napoli-Bari e della superstrada Avellino-Salerno. Purtroppo, gravissimi fenomeni di speculazione edilizia ed il tardivo vincolo posto dalla Sovrintendenza hanno causato la realizzazione di edifici su suolo archeologico ed addirittura all'interno delle mura della città romana.
Il perimetro urbano era delimitato da una cinta muraria di oltre due chilometri e mezzo, di cui restano significative rovine, risalenti al I secolo A.C. L'immagine a sinistra mostra le mura in "opus quadratum" relative alle fortificazioni hirpine, su cui vennero ad innestarsi in epoca romana quelle in "opus reticulatum", mostrate dall'immagine sulla destra. Sono ancora distinguibili le torri difensive (circolari e quadrate). L'Abellinum romana assunse una fisionomia molto regolare, essendo suddivisa in quattro quadrati tagliati dalle due strade principali, che confluivano nella piazza del Foro. Al termine di tali strade vi erano quattro porte che consentivano di raggiungere Nuceria, Beneventum, la Campania e l'alta Valle del Calore.
All'interno delle mura, non è consentito scattare fotografie per un divieto della Sovrintendenza, come cortesemente ci ha informato un addetto, per cui non vi mostriamo altre immagini. Tra gli edifici civili, si distinguono i resti di un grande edificio pubblico. Nella parte orientale di Abellinum, si ammira la domus in stile pompeiano, attribuita al liberto imperiale Vespanio Primogenio, con peristilio, giardino, piscina e diversi ambienti con dipinti ed affreschi. La domus costituì residenza civile fino al tremendo sisma del 346 D.C., che rase al suolo l'insediamento. Nei pressi della domus si trovano le terme, su cui si stanno effettuando dei lavori di consolidamento.
La diffusione del cristianesimo ad Abellinum risale alla seconda metà del III secolo D.C., con molta probabilità a seguito del riordinamento della colonia effettuato da Alessandro Severo verso il 230 D.C., che comportò la venuta di diverse famiglie orientali, alcune delle quali sicuramente cristiane (all'epoca il cristianesimo era molto più diffuso in Oriente che in Occidente). Tra i nuovi arrivati vi fu la famiglia di S. Ippolisto, che divenne il punto di riferimento della comunità cristiana di Abellinum, elevata a sede vescovile tra la fine del III e l'inizio del IV secolo D.C.
S. Ippolisto predicò dapprima di nascosto e poi pubblicamente, invitando la popolazione ad abbandonare le divinità pagane per abbracciare il cristianesimo. Per tale sua aperta professione di fede, fu costretto a fuggire e nascondersi ripetutamente, anche se evitò diverse condanne, fino al primo maggio del 303 D.C., quando venne assalito dalla folla inferocita (e probabilmente istigata), mentre tentava un'orazione davanti al tempio di Giove. Venne condannato e giustiziato (decapitazione). La testa venne gettata nel Sabato ed il corpo lasciato sul terreno. Vennero uccisi anche i figli Ireneo e Crescenzio di S. Ippolisto, di soli dieci e sette anni, i quali si aggrapparono al padre e non vollero lasciarlo.
Le matrone Massimilla e Lucrezia, figlie del senatore Massimiliano, seppellirono i resti del Santo nelle cantine di una loro villa di famiglia, nonostante un decreto di un magistrato avesse vietato la ricomposizione della salma. Per tale violazione, esse vennero a loro volta giustiziate. Nella stessa cripta di S. Ippolisto vennero sepolti numerosi altri martiri cristiani ed a seguito dell'editto di Milano (313), terminate le persecuzioni, venne meglio sistemato lo "Specus Martyrum", che venne inglobato da un cimitero vero e proprio, scoperto nel 1890 da padre Gennaro Aspreno Galante (nello stesso Specus Martyrum venne sepolto il Santo Patrono Sabino, vescovo a partire dall'inizio del VI secolo D.C. e morto nel 520).
Nel 1910, C. E. Volley ascrisse ai Visigoti, al tempo della seconda spedizione di Alarico (410) la distruzione di Abellinum. Tuttavia, Abellinum sicuramente sopravvisse a tale evento ed a altri ad esso successivi. Infatti, come ricordò Francesco Scandone nella sua "Storia di Avellino", i Visigoti di Alarico, "dopo aver tentato invano l'assedio di Nola, dilagarono per la Campania. Giù per Capua-Rhegium, senza affrontare l'asprezza della montuosa Irpinia". Anzi, lo stesso Scandone sottolineò che, Abellinum, continuò ad esistere non solo fino alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476), come dimostravano delle epigrafi che riportavano le date consolari del 442, 445 e del 464, ma anzi, "neppure durante le prime dominazioni barbariche il ricordo della città venne offuscato". Ed infatti, con la dominazione ostrogota, durante il regno di Teodorico (493-525) "Abellinum conservò le sue antiche tradizioni", tanto che il Vescovo Timoteo prese parte nel 499 al Sinodo generale di Roma. La sopravvivenza nel periodo ostrogoto è testimoniata anche dalle date del 505 e del 526 su alcune lapidi a cui si fa riferimento a suoi cittadini appartenenti al ceto "principale" ed a quello degli "ottimati primarii".
La quasi trentennale lotta tra Goti e Bizantini (525-555), la pestilenza del 565 D.C., le ripetute carestie, la decadenza delle strutture civili ereditate dai Romani avevano determinato un generale impoverimento
Ma approfondiamo come si sia giunti alla fine di Abellinum: agli Ostrogoti subentrarono i Bizantini, impadronitisi di tutta l'Italia peninsulare nel 539, ma probabilmente già padroni di Abellinum nel 536, al tempo della prima spedizione di Belisario. Ed a questo periodo della prima dominazione bizantina risale l'epigrafe che fa riferimento alla morte di Iohanni, risalente al 541 e che si trova sulla parete interna del Campanile della Chiesa di S. Maria della Neve, la Chiesa Parrocchiale di Aiello del Sabato, antico Casale di Atripalda. Si tratta di Iohanni(cius), che Francesco Scandone ritenne Vescovo di Avellino dal 520 al 541, mentre la Diocesi di Avellino lo considera un semplice prete.
L'asprezza della guerra bizantino-gotica, narrata dallo storico bizantino Procopius, nel suo "Bellum gothicum", originò la distruzione delle fortificazioni di Abellinum, visto che il Re goto Totila, per impedirne l'uso da parte dei Bizantini, lasciò nella penisola due sole città fortificate, Napoli e Cuma, con pochi castelli senza importanza. Quindi, nel 542, si dovette verificare una prima fuga di Abellinates. Parliamo di fuga e non di abbandono totale di Abellimum confortati da una lapide dell'anno 543, rinvenuta ad Atripalda, dove si legge:
"HIC REQVIESCIT GEMMA
QVE VIXIT ANNIS PLUS MINVSVE XXXV. DEPOSITA
KALENDAS AVGVSTAS POST CONSULATUM BASILI VIRI CLARISSIMI" .
Nel 552, i Bizantini di Narsete uccisero prima Totila e poi il suo sucessore Teia, mentre l'anno successivo, nel 553, ebbero definitivamente la meglio sulle ultime sacche di resistenza ostrogote, che si erano asserragliate nel Castello di Compsa. Al periodo della seconda dominazione bizantina, che terminò nel 570, risalgono le ultime epigrafi di Abellinum, che riportano le date consolari del 553 e del 558.
La mancanza di documenti e monumenti relativi ai secoli successivi, fa solitamente dedurre la fine di Abellinum che sarebbe stata decretata dalla successiva invasione, operata dai Longobardi nel 571. In particolare, Francesco Scandone, alle pagine 10 e seguenti della sua Abellinum longobardicum, Casa Editrice Libraria Humus, Napoli 1948, si espresse in questi termini: "Intorno al tempo e al modo dell'occupazione di Abellinum e del suo territorio, da parte dei barbari, manca qualsiasi notizia. Si può solo congetturare che la nostra città, confinante con quella di Benevento, ne abbia, a poca distanza di tempo, seguita la sorte. Si conoscono anche dei fatti che accreditano tale congettura .... In quanto al modo, con cui l'invasione fu compiuta, i cronisti ce ne tramandano delle notizie, abbastanza per se stesse eloquenti. Stragi, incendii, ruine si succedevano senza tregua, nè luoghi dove i conquistatori passavano; vastissimi territorii, rimasti del tutto deserti di abitatori, rimasero abbandonati e incolti. Pertanto è da ritenersi che ad <<Abellinum>> sia stata riservata la sorte della maggior parte delle città sorelle. Caduta oramai in rovina quella parte delle mura e delle torri, ch'era stata lasciata in piedi da Totila, i cittadini rimasti indifesi, doverono o salvarsi con la fuga, fuori dal territorio della colonia, o riparare nei vici e nei pagi. Così, anche se si volesse escludere una violenta distruzione degli edifici della città, questi sarebbero crollati dopo alcuni anni, specialmente per l'abbandono degli abitanti, ricchi di censo. Infatti, è noto che il possesso del suolo allettava in singolar modo i conquistatori. Poichè ai barbari piacevano i beni fondiarii, i <<primarii>> o <<curiales>>, venivano soppressi, o costretti a mettersi in salvo altrove; e nello stesso tempo le loro abitazioni in città, saccheggiate e devastate, si lasciavano cadere in completo sfacelo". Poi Scandone dichiara di non essere affatto d'accordo sul collegamento tra Abellinum romana e quella longobarda: "Ritengo assai commendevole, da parte de' precedenti autori, il tentativo di ricongiungere idealmente il <<novum Abellinum>>, longobardo, sito a parecchia distanza dalla città antica, proprio con questa. Ma essi fanno soltanto delle gratuite affermazioni, senz'alcun puntello di prova .... Se la continuità fosse esistita, senza essere stata mai del tutto bruscamente interrotta, le cronache, o almeno i documenti, avrebbero certamente distinto l'<<Abellinum vetus>>, sulla collina della <<Civita>> presso il Sabato, di origine romana, e l'<<Abellinum novum>>, sulla collina, detta poi <<la Terra>>, edificato dai Longobardi .... Invece, in documenti dell'891, del 1043, e in qualche altro posteriore, il sito di Abellinum romanorum, o <<civita>>, viene designato come <<veterales>>, cioè <<anticaglie>>, senz'altro nome, essendosi evidentemente obliterata, presso i nuovo padroni, la denominazione antica. I barbari, infatti, avevano occupati non solo i beni privati, ma anche i beni patrimoniali pubblici, appartenenti all'ammiinistrazione della colonia, ch'erano passati insieme con le <<anticaglie>>, in potere del capo dello stato". Chiariamo qui che anticaglie sono le rovine, veterales è parola di origine germanica (verlassen). E continua lo Scandone: "Non si nega che siano sopravvissuti anche taluni <<possessores>> romani; ma essi, come racconta Paolo Diacono, divisi pure tra i barbari, dovevano dar loro il terzo del raccolto delle terre, lasciate loro, perchè fossero coltivate". In sintesi, quindi, stando alla tesi dello Scandone, Abellinum si sarebbe svuotata ed avrebbe visto gli Abellinates in parte uccisi ed in parte dispersi dai Longobardi, feroci invasori, ed Abellinum sarebbe caduta in rovina e finita nel dimenticatoio. A sostegno di tale ricostruzione, lo Scandone riporta, alla pagina 12, diverse argomentazioni, che riportiamo quasi inalterate:
Come si vede, tante le argomentazioni addotte dallo Scandone, il quale, tra l'altro, in nota alla pagina 12 non manca di segnalare come Scipione Bellabona, nei suoi Ragguagli (alla pagina 54), è vero che aveva scritto che il territorio della <<civita>> fu ceduto, dopo il 1300, dagli Avellinesi agli Atripaldesi, ma non ne aveva fornito le prove con documenti attendibili.
Tuttavia, la ricostruzione operata dallo Scandone, della distruzione ed abbandono di Abellinum all'arrivo dei Longobardi non è condivisa da altri altrettanto valenti Autori.
Tra questi ricordiamo innanzitutto Angelo Michele Jannacchini. Questi, nella sua Topografia storica dell'Irpinia, Tipografia Di Gennaro Maria Priore, Napoli 1889, alla pagina 55, scrisse: "Dal quarto al nono secolo dell'era nuova, tutto ciò che si è scritto di Avellino non esce dalle ipotesi e dalle congetture... è cosa certa, che, tra l'invasioni dei barbari e le guerre dei Longobardi, ora tra loro, ed ora coi Greci, questa città man mano sensibilmente decadde, fino a cessare affatto. L'istinto della vita indusse i mal sicuri abitanti a procurarsi altrove uno scampo, quando videro andare tutto a soqquadro. La sbaglia il Pionati, quando al tempo di cui parliamo, se la vorrebbe additare come ricca e popolosa, e su quale base? Perchè Aione principe di Benevento, conferì il titolo di conte al castaldo di Avellino. Eppure, quando ciò avvenne, questa città versava nelle maggiori strette, e lo storico Longobardo Erchemperto disse che in tal tempo gli Avellinesi disertavano i patrii lari, ove tanti di loro avevano perduto sostanza e vita. Non negasi che Aione diede il titolo di conte al castaldo avellinese, ma fu per politica, alla stessa guisa che oggi si barattano croci e titoli cavallereschi. Aione, mi si condoni la frase, era allora il vero ajo nell'imbarazzo, perchè nello stesso tempo era in guerra coi principi di Salerno, coi Saraceni ed i Greci. Ciò che lo mosse a tenersi amico il castaldo di Avellino e quindi lo indusse a conferirgli il titolo di conte ...". Alle pagine 60-61 chiarisce ancora meglio ciò che pensa in merito alla fine di Abellinum e si discosta totalmente dallo Scandone: "L'antica Avellino non fu distrutta una volta solo, ma la finì lentamente in conseguenza di emigrazioni sucessive. La sua cittadinanza come si vedeva, o mal sicura nella vita, o nelle sostanze, cercava altrove un asilo, fino a che esulò tutta o nei monti attigui o sulle colline ovvero in altro luogo ove l'istinto della conservazione menavala. Chi più aveva da perdere ed aveva più cara la vita, questi fu tra i primi ad emigrare tra quelle guerre feroci, che si pugnavano fra Greci, Longobardi, Saraceni e Normanni. Per tal guisa una tanta città si venne man mano a vedovarsi di abitanti, addivenendo le macerie delle sue mura, l'albergo del gufo e del pipistrello; tanto puote la paura! Da queste emigrazioni frequenti, ma successive, esordirono quei tanti villaggi che fanno corona all'odierna città ... Or, tornando all'antica Avellino, ricordo che le famiglie andate via da questa si vennero poi pian piano aggruppando in tre distinte località, come a luoghi di più agevole difesa, cioè nelle colline dette Parco, Terra e S. Eramo, che era, dove si è oggi la Dogana, e che formarono come lo schema della nuova città".
Giovanni Rotondi nel suo "Storia del Castello di Avellino", riproposto su Internet da Cirignano Florindo, proponendo l'interpretazione "a contrario" degli eventi e delle congetture dello Scandone, sostenne che i Longobardi non avrebbero avuto convenienza a distruggere Abellinum, che era un centro importante che avrebbe loro permesso un buon acquartieramento, di usufruire di un gettito fiscale, usufruendo, al tempo stesso, di un centro intermedio tra Benevento e Salerno, importante sia dal punto di vista commerciale, sia dal punto di vista delle comunicazioni, che da quello militare. Interesse dei Longobardi, perciò, sarebbe stato quello di rafforzare Abellinum e non di annientarlo. Per suffragare la sua posizione il Rotondi, innanzitutto, tese a sminuire l'importanza dell'interruzione all'anno 541 della serie dei Vescovi di Abellinum, ricordando che tale fu la sorte di ben altre novanta Diocesi italiane, compresa quella beneventana. Anzi, a ben vedere, proprio la mancanza di un Vescovo che esortasse alla resistenza, avrebbe favorito l'invasione longobarda, del resto auspicata dalla popolazione, stanca delle vessazioni bizantine, ma anche delle continue guerre, delle carestie, delle pestilenze. Inoltre, la mancanza di lapidi successive all'anno 558, sempre secondo il Rotondi, poteva essere facilmente spiegata da rotture, disperdimenti, ed ancor più dal fatto che i Longobardi, originariamente ostili al Cristianesimo, potrebbero aver impedito, inizialmente, l'uso delle lapidi, fermo restando la possibilità che ulteriori scavi, potrebbero riportare alla luce lapidi posteriori alla data indicata. Secondo noi, i due argomenti riportati dal Rotondi sono "deboli", mentre sicuramente dovrebbero indurre a maggior riflessione due sue successive considerazioni, cioè l'assenza di una qualche Cronaca che abbia fatto riferimento alla distruzione di Abellinum, che era senz'altro un importante centro e per giunta antico ed il fatto che il "buio storico" su Abellinum cessò, come anticipato nel IX secolo, quando tra l'832 e l'839, Abellinum ebbe come Gastaldo il potentissimo Rotfrid, cognato e Cancelliere del Principe Siccardo di Benevento. E' possibile ipotizzare che tale Rotfrid si sarebbe accontentato della supremazia su di un borghetto nascente, quale doveva essere Avellino? O, invece, tale Abellinum era l'antico centro conquistato dai Longobardi, che perciò doveva essere ancora abitato e non completamente decaduto?
Tuttavia, neanche può dimenticarsi un altro elemento, che, prescindendo dalla eventuale distruzione di Abellinum, ne avrebbe suggerito senz'altro l'abbandono: da un punto di vista difensivo, Abellinum era collocato in posizione infelice, essendo situato in posizione pianeggiante e facilmente conquistabile. Pertanto, Abellinum, sia in seguito alle distruzioni apportate dai Goti di Totila e dai Bizantini (525-570), che coll'arrivo dei Longobardi (570-571), iniziò a svuotarsi, visto che gli Abellinates cominciarono a disperdersi, dirigendosi verso posizioni più sicure, prescegliendo presumibilmente, almeno in parte, la vicina Collina "La Terra", distante solo tre chilometri, nel luogo dell'odierna Avellino, che ha, perciò, mantenuto la denominazione, non l'ubicazione dell'antica Abellinum. Il che rese Abellinum (se sopravvissuta), nel cui territorio nascerà Atripalda, totalmente soggetti alla Abelinum longobarda, politicamente, amministrativamente ed ecclesiasticamente, originando una mai sopita rivalità tra i due centri irpini.
Se sopravvissuta, da tale momento iniziò la parte terminale dell'agonia di Abellinum, della quale intorno all'anno mille, non restava traccia alcuna: gli edifici e le mura vennero coperti dalla vegetazione, favorendo gradualmente l'oblio, tanto da non essere più in grado di ascrivere al sito l'originaria denominazione.
Nei dintorni di Abellinum abbondanti erano i noccioleti, da cui derivò il nome di "Nuces avellanae", che perciò si ricollega ad Avellino e non ad Avella, come molti ritengono.