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Storia

Nel territorio di Atripalda esiste un'area archeologica denominata "Civita", dove insisteva l'insediamento hirpino, sulla riva sinistra del fiume Sabato, un tempo assai più ricco d'acqua (dal XIX secolo le sue acque alimentano l'acquedotto napoletano).

Anzi, l'insediamento hirpino venne preceduto da uno preistorico.

Successivamente, in epoca romana, Abellinum divenne "Municipium". Disputato è il rapporto Abellinum-Avellino, che abbiamo cercato di chiarire in altra parte del sito, dove abbiamo ricordato che la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476) e le invasioni barbariche, causarono il graduale e definitivo abbandono dell'insediamento romano, precisamente durante le lotte tra Longobardi, Bizantini e Goti. Gli abitanti di Abellinum si stabilirono, tra l'altro, a tre chilometri di distanza, nel luogo dell'odierna Avellino, sulla Collina "La Terra", che ha, perciò, mantenuto la denominazione, non l'ubicazione dell'antica Abellinum.

Ai piedi di Abellinum, sempre più spopolato, fuori dalle mura perimetrali, sulla riva destra del Sabato, si andò formando, all'inizio dell'XI secolo, un nuovo insediamento abitativo lungo l'asse S. Ippolisto-S. Maria-Archi. Il nucleo aggregante di genti ed attività fu il cimitero paleocristiano, denominato "Specus Martyrum", anche se lo sviluppo avvenne tra la collina del castello ed il mulino degli Archi.

Ma l'elemento propulsivo, che accellerò la nascita di Atripalda come nuovo borgo, deve ascriversi alla venuta di Truppoaldo, un longobardo dei conti di Avellino, a cui si ricollega il nome "Tripaldum". Egli, ereditata la parte orientale della contea, sulla riva destra del Sabato, si stabilì nel Castello, ubicato in posizione strategica, che fece ristrutturare e rafforzare.

Lo sviluppo di Atripalda fu celere e considerevole tra l'XI ed il XIV secolo, favorito oltre che dalla presenza del feudatario, anche dal contemporaneo intrecciarsi di altri fattori favorevoli, quali l'ascendente religioso esercitato dalla Collegiata di S. Ippolisto, la felice posizione geografica idonea a stimolare i traffici mercantili, la presenza delle acque del fiume Sabato e della Salzola, nonchè di un folto bosco che fornivano l'energia necessaria ai mulini ed altre attività industriali della zona (ferriere).

Nel Medioevo il feudo di Atripalda comprendeva, quali suoi casali, anche Aiello del Sabato, Tavernola S. Felice (ora frazione di Aiello) e Cesinali.

Suoi signori furono Ruggero de Lauro, che unificò nuovamente il feudo, eccessivamente parcellizzato a seguito delle continue suddivisioni tra i discendenti di Truppoaldo, i Capece, Bernardo Scillato (1285), i Montfort (1293), gli Orsini i Boccapianula, i Marzano.

Atripalda rappresentò la scintilla che fece espoldere la guerra tra Angioini ed Aragonesi, il 19 giugno del 1501, che viede prevalere gli spagnoli, che attribuirono il feudo alla regina Giovanna, nipote di Ferdinando il Cattolico.

L'animosità commerciale di Atripalda trae le sue radici, nei primi decenni del XVI secolo, dalla venuta di un nucleo di ebrei spagnoli, commercianti e finanzieri, convertiti forzatamente al cattolicesimo per evitare l'espulsione dal regno decretata dal vicerè Toledo nel 1541.

Assai rilevante per la storia di Atripalda fu l'anno 1564, in cui il genovese Giacomo Pallavicino Basadonna cedette Atripalda in cambio dei possedimenti milanesi dei Caracciolo, che così iniziarono una lunga signoria sul paese irpino, col titolo di duchi, fino all'abozione dei diritti feudali (2 agosto 1806). I Caracciolo risolsero anche l'antica diatriba religiosa tra Atripalda ed Avellino: essendo venuto meno l'ostacolo rappresentato dalla soggezione delle due cittadine a Signori diversi, essendo stato anche Avellino acquisito dai Caracciolo nel 1581, i feudatari si adoperarono affinchè Atripalda si affrancasse da Avellino ed avesse una sua autonomia religiosa. La qual cosa si realizzò nel 1585.

Oltre all'importanza della commercializzazione e della sfarinatura del grano a partire dalla metà del XVI secolo, Atripalda si giovò dello sviluppo dell'industria del ferro (tra il XVI ed il XVIII secolo), e soprattutto, della lana, che diede lavoro, fino alla fine del XVIII secolo, alla maggioranza della popolazione attiva.

Fino alla fine del XVIII secolo Atripalda era cinto da mura che consentivano l'accesso tramite cinque porte: Porta di Susa alli Fossi, Porta del Seggio, Porta di Capo la Torre, Porta di S. Maria delle Grazie e Porta della Piazza.

Altri eventi di rilievo da ricordare relativi alla storia di Atripalda sono la rivolta antispagnola ed antifeudale del 1647-48, la grave peste del 1656 e la tremenda alluvione del 1715, il progressivo recupero agricolo (nocciole, viti, colture irrigue) di terre paludose e coperte da vegetazione, che si ebbe tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo.

In tale ultimo periodo, ricordiamo la partecipazione di parte degli atripaldesi alla rivolta antifrancese (1799), la restaurazione borbonica (1815), i moti del 1820-21, il periodo più tranquillo sotto Ferdinando II (1830).

Rilevante impatto per la crescita di Atripalda ebbe la costruzione della strada ferrata e, soprattutto, l'ubicazione della stazione di Avellino (inaugurazione 1/4/1879), quasi al confine con Atripalda, finendo per servire più la seconda che la prima.

Il secolo XIX vide il venir meno di una delle ragioni che avevano determinato la localizzazione di tanti opifici industriali ad Atripalda: la necessità di ricorrere all'energia idraulica a causa dell'affermazione delle nuove fonti di energia.

Il terremoto del 1980 inferse un grave colpo al patrimonio urbanistico di Atripalda, anche se già in gran parte degradato. Andò completamente distrutto il quartiere medioevale detto "Capo La Torre".

Atripalda diede i natali a Francesco Rapolla, professore dell'Università di Napoli all'inizio del XVIII secolo ed insigne giureconsulto, autore di diverse opere importanti, a Giacinto Ruggiero, autore dell'apologia delle dottrine e delle opere di S. Tommaso d'Aquino, a Francesco Angioini, letterato, autore di diverse commedie, a Filippo Belli (1666-1719), illustre letterato, a Giambattista Belli e Marcantonio Ruggeri, valenti giureconsulti e regi consiglieri, a Carlo Belli, cultore di studi giuridici, nato nella prima metà del XVII secolo.

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