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Abellinum

Le mura costruite dagli Hirpini (Irpini) e ad un livello superiore quelle d'epoca romana Nel sito detto "Civita", alle spalle del Cimitero di Atripalda, si trovano i resti di Abellinum, dove vivevano gli Abellinati, Hirpini, che combatterono i Romani durante le Guerre Sannitiche e dopo tanti anni di lotta, alla fine della Seconda Guerra Sannitica (290 A.C.), alla cui Lega appartenevano, furono costretti a scendere a patti con gli invasori. Anzi, guardando le stratificazioni delle mura di Abellinum, si nota addirittura un livello preesistente alle fortificazioni hirpine. Approfittando della vittoria di Annibale avvenuta a Canne (216 A.C.), gli Hirpini insorsero nuovamente, ma vennero ancora sopraffatti sette anni dopo. Altra, ed ultima, insurrezione, si ebbe durante la Guerra sociale, quando gli Abellinati sostennero Mario, perdente, contro Silla, vincente. Per questo, le milizie di Silla distrussero Abellinum hirpina e crearono nell'82 A.C. la colonia Veneria Abellinatium, sulla riva sinistra del fiume Sabato, che andò in premio ai veterani (Veneria deriva da un Santuario dedicato a Venere che ivi si trovava). Abellinum romana, a cui corrisponde il livello più alto delle fortificazioni di Abellinum, venne inclusa dall'Imperatore Ottaviano Augusto nella "Regio II", l'Apulia, a causa dei traffici che si effettuavano lungo la Via Appia. Successivamente, venne utilizzata la denominazione di Livia Augusta per onorare la moglie di Ottaviano, Livia Drusilla, a cui spettavano la maggior parte dei territori che andavano da Abellinum ad Aeclanum. Infine, si parlò di Alexandriana, per l'arrivo di nuovi veterani dall'Asia Minore (222-235), disposta dall'Imperatore Alessandro Severo.

Al III-IV secolo risale l'inizio della penetrazione del Cristianesimo ad Abellinum e nel territorio di sua competenza, fungendo la catacomba sottostante la Basilica della SS. Annunziata di Prata di Principato Ultra, sin da epoca pre-costantiniana, da luogo di riunione dei primi Cristiani. Solo quando tali Cristiani raggiunsero una consistenza numerica rilevante, cominciarono ad infastidire la classe dirigente, rimasta nella generalità ancora pagana. Iniziarono le persecuzioni, forse sotto l'Imperatore Diocleziano (304-312), che causarono molti Martiri alla "Ecclesia Abellinensis", la Comunità Cristiana di Abellinum, tanto che la Tradizione religiosa locale ne elenca ben venti: il sacerdote S. Ippolisto (1 maggio 303) ed altri suoi contemporanei, il Senatore Quinziano (convertito al Cristianesimo da S. Ippolisto) ed i suoi figli adolescenti Ireneo e Crescenzio, i Patrizi S. Giustino e S. Proculo, le nobili vedove Massimilla e Lucrezia (figlie del Decurione Massimiano, colpevoli di aver dato degna sepoltura a S. Ippolisto), il "Curator civitatis" S. Anastasio, i cittadini S. Firmo, Fabio, Eustachio, S. Secondino, S. Eusebio, S. Firmiano, S. Egnazio (o Ignazio), S. Procuro (martirizzato assai crudelmente), S. Eulogio, S. Querulo e un altro S. Fabio.

I Martiri vennero seppelliti in una necropoli nota come "Specus martyrum", Catacomba (coemeterium) paleocristiana dei Martiri, che fa parte della Cripta della Collegiata di S. Ippolisto, su cui si edificò l'impianto, dove, sino al 1585, su di una lapide murata sull'arco della porta, si leggeva:

"HIC IACENT NONNULLA CORPORA SANCTORUM, QUORUM NO-
MINA INTUS DESCRIBUNTUR, QUAE MATRONAE ABELLINENSES,
PIETATE COACTAE, SEPELIERUNT".

Nel 313, poco prima dell'Editto di Costantino che poneva fine alle persecuzioni, vennero martirizzati anche S. Modestino e i suoi compagni S. Fiorentino e S. Flaviano, che vennero sepolti nel Vico Pretorio del pagus Urbinianum, tra Mercogliano e Valle.

La fine delle persecuzioni nei confronti dei Cristiani non comportò immediatamente la conversione di tutti gli Abellinates alla nuova religione, visto che soprattutto i ceti più elevati continuarono a seguire la religione pagana. Gradualmente, però, il Cristianesimo prese il sopravvento ad Abellinum, per diffondersi poi verso i minuscoli aggregati del suo distretto amministrativo (Municipium o Colonia di Abellinum). Tale diffusione trova conferma in "parecchie lapidi, talune con data consolare, altre senza; e da altre prove, che attestano l'esistenza di una "diocesi", con la "sede" del Vescovo" (Francesco Scandone).

L'affermazione definitiva del Cristianesimo ad Abellinum e dintorni venne sancita dall'apposizione di una croce che il Patrizio Quinto Vinio della tribù Galeria, fece collocare con l'iscrizione (senza data) del monumento da lui eretto in memoria del padre, della madre e di una sorella, che venne ritrovata presso S. Maria a Voto (nel territorio di Montefusco). Risale al 357, la prima lapide relativa alla sepoltura di un Cristiano di casta elevata.

Quindi, esisteva una comunità cristiana e doveva esistere un capo di tale comunità, un Vescovo, con una sua Sede episcopale. Purtroppo, la successione dei Vescovi di Abellinum presenta notevoli lacune. Il tentativo di colmare tali lacune nel corso dei secoli, portò sovente i vari Autori ad interpretazioni errare, stando a quanto si legge sul sito della Diocesi di Avellino, secondo la cronologia stilata dal Prof. Gennaro Passaro: "Circa la Diocesi di Abellinum, bisogna dire che gli storici del passato si sono sbizzarriti nel fare gratuite deduzioni suggerendo i nomi di vari vescovi; ma, di tutti essi, solo due sono storicamente accertati", che rispondono ai nomi di Timoteo (496-499), indicato in atti pontifici del 496 e del 499 (quando fu presente alle sedute di un sinodo indetto dal Papa Simmaco (498-514) contro l'Antipapa Lorenzo) e S. Sabino (525-526), Patrono di Atripalda, di cui è conservato il sarcofago nella Cripta della Collegiata di S. Ippolisto, con epigrafe alquanto generica secondo cui sarebbe stato predecessore di Timoteo. Dello stesso periodo è la tomba del suo Diacono Romolo, nella cui epigrafe si parla di Sabino e dello "Specus Martyrum".

Per altri religiosi, ritenuti Vescovi di Abellinum anche da valenti Autori, come Francesco Scandone, non vi sarebbe, sempre secondo la Diocesi di Avellino, evidenza documentale dell'assunzione di tale qualifica o addirittura della loro esistenza: ciò varrebbe addirittura per il già citato S. Modestino, Patrono di Avellino e di Mercogliano, per il quale "mancano notizie sicure circa il suo episcopato e martirio che sarebbe avvenuto intorno al 311; quelle esistenti risalgono ad una tradizione tardiva dovuta al vescovo Ruggiero (1215-42) e risultano spesso in contrasto con i dati storici accertati" e per Iohanni(cius), a cui si riferisce un'epigrafe sulla parete interna del Campanile della Chiesa di S. Maria della Natività di Aiello del Sabato, antico Casale di Atripalda, che sarebbe stata mal interpretata dagli Autori dei secoli scorsi fino allo Scandone. Tale epigrafe, incisa in caratteri capitali rustici, recita:

"HIC REQVIESCIT IN PACE DEI SER
VVS IOHANNI VV PRESB. QUI VI
XIT ANN. LXXX EVOCATVS A DNO DIE
XIII KALEND. AVGVSTI BASILIO
VCCONS. SED ANN. XXI."

Cioè, "Qui riposa in pace il servo di Dio Giovanni(cio) decimo Presbitero che visse anni ottanta, chiamato dal Signore il venti di luglio essendo vice console Basilio. Sedette anni ventuno".

Secondo lo Scandone, il riferimento speciale alla durata di 21 anni della "sede", che non avrebbe avuto senso comune per un semplice sacerdote, indicherebbe senza alcun dubbio che Giovannicio fosse stato investito, per tutto quel tempo, "della pienezza del sacerdozio", nella sua "sede"”, o "cattedrale vescovile". Sulla base di tale interpretazione, lo Scandone concluse che "Dunque, a me pare che si possa concludere che Giovannicio occupò la <<sede>> abellinate dal 520 [anno della sua elevazione alla cattedra] al 541 [suo ultimo anno di vita]". Tuttavia, come anticipato, tale interpretazione è negata dalla Diocesi di Avellino, che sottolinea sia la differenza tra nome inciso sulla lapide "Iohanni" e quello di cui parla lo Scandone "Iohannicius", che l’errata elevazione di un puro sacerdote a Vescovo, e fa riferimento alla rettifica dovuta a Don Nicola Gambino.

Ad ogni modo, poiché la successione dei Vescovi riprende con certezza solo nel 1053, col Vescovo Truppualdo, documentato in un atto di donazione esistente nell'Archivio di Montevergine, il dato certo è che Abellinum rimase senza Vescovo a partire dalla prima parte del VI secolo. A cosa fu dovuta tale vacanza della Sede Vescovile?

Non certamente alle prime invasioni barbariche, visto che a differenza di quanto sostenne C. E. Volley (The Civita in the vallee of the Sabato, 1910), i Visigoti, al tempo della seconda spedizione di Alarico (410) non saccheggiarono Abellinum, come ricordò Francesco Scandone nella sua "Storia di Avellino": "dopo aver tentato invano l'assedio di Nola, dilagarono per la Campania. Giù per Capua-Rhegium, senza affrontare l’asprezza della montuosa Irpinia". Anzi, lo stesso Scandone sottolineò che, non solo, Abellinum, sopravvisse alla Caduta dell’Impero Romano d'Occidente (476), come dimostravano delle epigrafi che riportavano le date consolari del 442, 445 e del 464, ma anzi, "neppure durante le prime dominazioni barbariche il ricordo della città venne offuscato". Ed infatti, con la dominazione ostrogota, durante il regno di Teodorico (493-525) "Abellinum conservò le sue antiche tradizioni", tanto che il Vescovo Timoteo prese parte nel 499 al Sinodo generale di Roma. La sopravvivenza nel periodo ostrogoto è testimoniata anche dalle date del 505 e del 526 su alcune lapidi a cui si fa riferimento a suoi cittadini appartenenti al ceto "principale" ed a quello degli "ottimati primarii" e dalla presenza del Vescovo Sabino.

Agli Ostrogoti subentrano i Bizantini, impadronitisi di tutta l'Italia peninsulare nel 539, ma probabilmente già padroni di Abellinum nel 536, al tempo della prima spedizione di Belisario. Ed a questo periodo della prima dominazione bizantina risale l'epigrafe che fa riferimento alla morte del già citato Iohanni(cius), risalente al 541.

La Guerra bizantino-gotica fu molto aspra e lo storico Procopius, uno storico bizantino che narrò la guerra contro i Goti nel suo "Bellum gothicum", scrisse che il Re goto Totila, per impedirne l'uso da parte dei Bizantini, lasciò nella penisola due sole città fortificate, Napoli e Cuma, con pochi castelli senza importanza. Ne segue che a seguito delle devastazioni dei Goti di Totila e dell'abbattimento delle mura e delle torri di Abellinum, nel 542, si verificò sicuramente una prima fuga di Abellinates. Parliamo di fuga e non di abbandono totale di Abellimum confortati da una lapide dell'anno 543, ritrovata ad Atripalda, dove si legge:

"HIC REQVIESCIT GEMMA
QVE VIXIT ANNIS PLUS MINUSVE XXXV. DEPOSITA
KALENDAS AVGVSTAS POST CONSULATUM BASILI VIRI CLARISSIMI".

Nel 552, i Bizantini di Narsete uccisero prima Totila e poi il suo successore Teia, mentre l'anno successivo, nel 553, ebbero definitivamente la meglio sulle ultime sacche di resistenza ostrogote, che si erano asserragliate nel Castello di Compsa. Al periodo della seconda dominazione bizantina, che terminò nel 570, risalgono le ultime epigrafi di Abellinum, che riportano le date consolari del 553 e del 558.

La vacanza nella successione dei Vescovi di Abellinum unita alla mancanza di documenti e monumenti relativi ai secoli successivi, fa solitamente dedurre la fine di Abellinum che sarebbe stata decretata dalla successiva invasione, operata dai Longobardi del Ducato di Benevento nel 571: "La città stessa, rimasta priva di abitanti, parte uccisi, parte dispersi dai nuovi, più feroci invasori, cadde presto in rovina". Tale impostazione sarebbe suffragata dal fatto che solo verso la metà del IX secolo, in Cronache o altri documenti si scrisse nuovamente di "Abellinum", ma facendo riferimento al nuovo nucleo medioevale, cioè ad Avellino. La distruzione di Abellinum sarebbe suggerita anche dalla terribile fama da cui erano accompagnati i Longobardi, spietati invasori, autori di stragi, devastazioni, incendi, avidi di ricchezza, che toglievano ai ricchi ed al clero, finendo per uccidere chi cercava di impedire le loro razzie, perciò, soprattutto i rappresentanti della Chiesa, che incitavano la popolazione alla resistenza e difendevano i deboli.

Va ricordato, tuttavia, che la Cattedra Episcopale di Abellinum, al tempo della invasione longobarda era vacante da decenni, pertanto, nessun Vescovo, avrebbe potuto invocare la resistenza della popolazione, che probabilmente non ne avrebbe neanche avuto tanta voglia, vista l'avidità della opprimente burocrazia bizantina. Certo è che, comunque, i Longobardi erano degli invasori e barbari per giunta. Per cui, è logico supporre che Abellinum, già provata dall'invasione dei Goti e priva del riferimento religioso fondamentale per quel tempo, dovette svuotarsi o perdere molti dei suoi residenti, che si allontanarono anche a causa del protrarsi delle lotte con i Bizantini.

Ecco quindi, che i superstiti fuggitivi si dovettero disperdere nel circondario: vi fu chi si fermò attorno allo "Specus martyrum", andando a costituire il nucleo iniziale della futura Atripalda, mentre altri andarono in direzione opposta, spostandosi di qualche chilometro verso le vicine alture, come quella detta "Selectianum", divenuta poi "La Terra", su cui venne edificata, come vuole la Tradizione tramandataci da Scipione Bellabona, la prima Cattedrale, l'originaria Chiesa di S. Maria.

La nostra ricerca continua con l'analisi della presenza dei Longobardi. Facciamo notare che qui abbiamo riportato una sintesi della storia relativa al periodo che precede il crollo dell'Impero Romano d'Occidente fino all'erezione (o ampliamento) del castello, d cui trovate la versione completa nella specifica pagina dedicata alle origini del castello di Avellino. Per agevolare il lettore, abbiamo anche creato una tavola dove trovate schematizzati gli eventi dal 410 al 1015.

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