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Storia

La frequentazione del territorio Pratese è assai remota, come risulta da ritrovamenti archeologici preromani e ruderi di ville e sarcofaghi di epoca romana effettuati nelle campagne che circondano il complesso cimiteriale e religioso della Basilica dell'Annunziata, un antico tempio pagano con catacombe cristiane (II-III secolo).

Ciò conferma dell'affermazione del Cristianesimo nella vicina Abellinum e con molta probabilità anche la sede dei primi vescovi in Irpinia.

In un documento del 1070, risulta la regalia della Badia di S. Maria di Priato da parte di Roberto di Montescaglioso al Vescovo di Tricarico.

Il vero e proprio borgo, di origini medioevali, apparteneva a Guglielmo de Abinalia di Avellino, Signore di Montefredane e vassallo del Conte Rainulfo II, quando venne saccheggiato ed incendiato nel 1134 dai soldati di Ruggero II il Normanno, il quale concesse i diritti feudali a dei nobili locali, i de Prata.

Verso il 1170 feudatario era Pietro Revelli, a cui successe dapprima una certa signora Mattia, e poi i suoi nipoti, Ugone, prima, Raione e Simone de Prata successivamente.

Cogli Svevi si ebbe la riedificazione del castello con la famiglia de Avenalia. Nel 1239 Federico II concesse la Signoria su Prata ad una persona non ben identificata.

Con gli Angioini, risulta feudatario (1238) Antonio de Prata, che si unì in matrimonio nel 1271 a Maria, figlia di Ettore de Tufo. Subentrò poi il figlio Andrea, a cui successe nel 1315, Guglielmo de Prata.

Successivamente, Signori furono i Pagano (tra cui si ricordano Guglielmo ed Antonio), i Filangieri (tra cui si ricordano Lancillo, secondo figlio di Giacomo e, dopo di lui, Riccardo IV suo fratello), e nel 1408 il figlio Matteo Filangieri.

Nel 1418 i feudi di Prata e S. Mango giunsero a Sergianni Caracciolo, il quale, però, avendo partecipato ad una congiura ai danni del Re Ferdinando I di Aragona, subì la confisca del suo feudo.

Il feudo venne attribuito ai Gargano di Aversa (Tommaso I), che lo tennero a lungo, fino al 1617, quando l'indebitato Antonio, cedette il suo feudo a Giovanni Andrea Cesarano di Castelmozzo, deceduto nel 1639, a cui subentrò il figlio Giovanni, a sua volta, ancora per debiti, vendette il feudo allo zio Gianvincenzo, a cui seguì la figlia Agnese nel 1668, per tornare ai Casarano (Giovanni Vincenzo e poi il fratello Francesco).

In età rinascimentale, il palazzo dei feudatari di Prata venne ricostruito e divenne una residenza signorile. Il palazzo Baronale vide la presenza dei Ragusea, degli Zamagna, con Savino che comprò il feudo dall'indebitato Francesco Cesarano, dei Serafino (1690), di Savino II (morto nel 1740), di Serafino II (morto nel 1772), poi ancora degli Zamagna (Francesco, nobile di Ragusi, nel 1792), fino all'abolizione della feudalità (1806). Venne poi, nel 1854, la volta di Niccolò De Gradi, per via testamentaria, in quanto affine in linea femminile ai precedenti feudatari.

La lapide che ricorda il dono del palazzo baronale al Comune da parte della famiglia Di Marzo L'ultima famiglia di rilievo fu quella dei Di Marzo, che donò il palazzo Baronale al Comune di Prata nel 1925, come ricorda la lapide sulla parete del portale in pietra d'ingresso esterno, che vi mostriamo in fotografia.

Con la proclamazione del Regno d'Italia, vi fu l'aggiunzione di "Principato Ultra", derivante dalla sua antica collocazione nel Principato Ulteriore e non in quello Citeriore, in modo da distinguere il Comune Irpino, dagli omologhi paesi ubicati in altre zone del Regno.

Infine, in merito alla questione etimologica, incerta è l'etimologia del nome del paese, che taluni fanno derivare dal vocabolo latino "Pratum" (plurale "Prata"), che significa prato, pianura, basandosi su di un'attestazione manoscritta del 1328.

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