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Storia

L'insediamento preistorico era situato in località oggi detta "Sotto Le Rupi", dove vi sono delle grotte scavate nel tufo La presenza dell'uomo nel territorio di Lacedonia è senz'altro remota, facendosi risalire all'età neolitica, a cagione del ritrovamento di resti preistorici di armi in rame. L'insediamento preistorico era situato in località oggi detta "Sotto Le Rupi", dove vi sono delle grotte scavate nel tufo, che si vedono nell'immagine sulla sinistra.

Tuttavia, notizie più puntuali e certe attengono all'arrivo degli Hirpini, una popolazione di lingua Osca, che denominò il luogo "Akudunniad". Tale vocabolo, che si ritrova su lapidi e monete giunte fino a noi e conservate nel Museo-Biblioteca, venne attribuito dai numismatici primitivi ad Acherontia (l'odierna Acerenza), ma successivamente riconosciuto come appartenenti ad Aquilonia (Friedlander, Pasquale Palmese).

L'epigrafe in lingua osca con caratteri latini che conferma l'antica origine di Lacedonia. Si trova su di un blocco in pietra locale custodito al Museo Diocesano L'immagine sulla sinistra mostra un blocco in pietra locale, conservato nel Museo Diocesano, che contiene un'epigrafe in lingua osca, scritta con caratteri latini (I secolo A.C. - I secolo), che conferma l'antica origine di Lacedonia.

Su tale blocco si legge: "EC NE(R) ACRIV", che si traduce "Ecco l'emblema: la Cicogna", visto che nella lingua osca parlata dagli Hirpini, "Ec" = ecco, questo, NER = Principe, vessillo, emblema, "AKERIV, ACRIV" = cicogna.

Una cicogna incisa su uno degli stemmi che appare sulla parete laterale della Cattedrale di Lacedonia In lingua Osca, "Akudunniad", il nome Hirpino attribuito a Lacedonia, significa "Madre cicogna", la cicogna che compare nel simbolo di Lacedonia, a partire dal 212 A.C., quando tale volatile prese il posto dell'aquila. Tale cicogna compare anche su numerosi stemmi, come quello che vedete nell'immagine sulla destra, che si trova sulla parete laterale Cattedrale.

L'attuale Lacedonia, si sarebbe chiamata poi "Erdonea", nome che discenderebbe da un suo conquistatore.

La presenza di due antichi centri, entrambi denominati "Aquilonia", di cui uno sicuramente antecedente storico dell'odierna Lacedonia, ha creato non poche incertezze nella successiva ricostruzione della storia di Lacedonia (si noti il termine Aquilonia compariva ancora negli atti notarili dei Cappacota, feudatari di Lacedonia tra il XVI ed il XVIII secolo, dove si legge "Datum ex Castro Aquiloniae").

Una prima Aquilonia è quella di cui parlò Livio (x, 38-43), conquistata ed incendiata dai Romani durante la III guerra sannitica (293 A. C.), a seguito della campagna bellica dei consoli Carvilio e Papirio. Molto dubbia è l'ubicazione di tale Aquilonia, che sarebbe stata nel paese dei Pentri, nel Sannio centrale od occidentale, a poco più di 32 chilometri da Cominium (l'odierno Cerreto Sannita in provincia di Benevento) e, pare, a non più di un giorno di marcia da Bosianum (l'odierno Boiano in provincia di Campobasso). Dopo la sconfitta dei Sanniti per opera di Papirio presso tale Aquilonia, la nobiltà e la cavalleria ripararono a Bovianum e gli avanzi delle coorti, inviate a Cominium, fecero la loro ritirata nella stessa città. Dopo aver conquistato ed incendiato tale Aquilonia, Papirio assediò Saepinum (l'odierno Sepino in provincia di Campobasso), sempre in direzione di Bovianum. Gli elementi riportati escludono, quindi, che l'Aquilonia di Livio coincida con l'attuale Lacedonia. Tuttavia, ammettendo, al contrario, tale coincidenza, allora, il luogo dove si sarebbe svolta la battaglia decisiva per le sorti della Terza Guerra Punica, nel 293 A.C., sarebbe, come sostengono alcuni, la località Chiancarelle, in territorio di Lacedonia, tanto che il paese ha intitolato una sua importante arteria come "Corso Aquilonese".

La progenitrice dell'odierna Lacedonia, sarebbe, però, l'altra Aquilonia, cosa sottolineata a suo tempo anche dal Romanelli (Vol. II, pp. 493-500), che reputò l'Aquilonia di Livio come distinta dalla città degli Hirpini, un "oppidum" situato all'estremo sud del Sannio (inteso in senso lato), e prossima alle frontiere con l'Apulia, cioè si trovava in Hirpinia. Ed infatti, Plinio e Tolomeo lo fecero espressamente rientrare in Hirpinia e non nel Sannio. Inoltre, la Tabula Peutingeriana collocò Aquilonia lungo la via Appia, a 37 miglia pugliesi di distanza da Aeculanum (Eclano) ed a 6 da Pons Aufidi (Ponte S. Venere), sulla strada per Venusia (Venosa). Le distanze indicate confermano che si trattava dell'odierna Lacedonia, il cui nome, del resto, non è dissimile dal nome dato ad Aquilonia in lingua Osca parlata dagli Hirpini, come dimostra la seguente sequenza: Akudunniad, Kudunnia, Kedonia, Cidonia, Cedogna, Cedonia, Lacedonia, in cui solo il secondo ed il terzo termine sono da noi stati creati, mentre gli altri sono tutte denominazioni usate realmente in riferimento all'odierna Lacedonia, dalle più antiche alle più recenti.

Aquilonia subì ripetute distruzioni e venne ricostruita dai Romani, venendo inclusa nella Tribù Galeria. Il suolo lacedonese ha disvelato tanti reperti che testimoniano il suo passato preromano e romano: un tempio dedicato alla Dea Iside (e/o a Castore e Polluce) e ruderi delle terme con pavimenti in mosaico a colori, su cui venne eretta l'antica Cattedrale, oggi chiesa di S. Maria della Cancellata, sepolcreti del IV-III secolo A.C., reperti di età romana repubblicana ed imperiale, porzioni di antichi monumenti, scuri, idoli, lapidi (in alcune delle lapidi si leggono i nomi dei Licinii, dei Lucii e dei Balbi, edili, questori ed augustali sotto il dominio romano), vasi etruschi, edicole funerarie, monete d'oro e di bronzo, corniole. Si suppone che Aquilonia fosse dotata di un anfiteatro, dei giardini e lavatoi pubblici. Inoltre, in località "I capi dell'acqua" era presente una "mutatio", stazione di posta per il ricambio di carri e cavalli. Ciò si spiega perchè durante la dominazione romana, Aquilonia (Lacedonia) divenne un importante Municipium.

Il punto in cui inizia la "Tagliata", dove Annibale avrebbe fatto decapitare tantissimi Lacedonesi nel 212 A.C., colpevoli di aver cercato di scendere a patti con i Romani Annibale, vittorioso sui Romani nella celeberrima Battaglia di Canne, venuto a conoscenza che gli sconfitti, capeggiati dal Proconsole Gneo Fulvio, detto "Centumalo", si apprestavano a riconquistare Aquilonia (Lacedonia), vi si recò prontamente, onde difenderla (212 A.C.). Le truppe di Annibale non solo sconfissero i Romani, che videro morire ben 13000 militi, tra cui il medesimo Gneo Fulvio ed altri undici Tribuni, ma quando il vincitore seppe che i Lacedonesi avevano cercato di tradirlo, scendendo a patti con i Romani, ordinò la decapitazione di molti di loro, che ebbe luogo nel sito detto "caedes", oggi noto come "Tagliata", una strada oggi con poche costruzioni, il cui inizio è mostrato dall'immagine. Inoltre, onde evitare che dopo la sua partenza i Lacedonesi avessero un comportamento "recidivo", fece svuotare Aquilonia (Lacedonia), trasferendone la popolazione (o gran parte di questa) a Metaponto, ordinando, in aggiunta, l'incendio del paese.

Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente ed il dilagare del Cristianesimo, Lacedonia nel 517 venne donata dall'Imperatore Giustiniano ai monaci Benedettini. Ai Bizantini subentrarono i Longobardi, i Conti di Conza, i Normanni. Importanti feudatari furono i Balbano, il di cui Riccardo aderì alla Terza Crociata bandita dal Pontefice Gregorio VIII, spedendo in Terra Santa sessanta fanti e sessanta cavalli.

Il borgo medioevale venne citato per la prima volta solo nel 1059, nella Cronaca di Leone Ostiense, dove si legge del Vescovo di Lacedonia di nome Simeone (quindi in tale anno Lacedonia doveva essere sede vescovile), a cui successe Desiderius, citato nel 1082.

Tratti delle antiche mura Venne poi la volta dei feudatari D'angiò e degli Orsini, Principi di Taranto, che a seguito delle tremende distruzioni arrecate dal terremoto del 5 dicembre 1456, ordinarono la ricostruzione delle mura di cinta, che si vedono nell'immagine, che vennero munite di fossato e quattro Porte, tre delle quali ancora visibili nella loro struttura originaria: Porta di Sopra o del Messere presso l'attuale Palazzo Vescovile (abbattuta nel secolo scorso, al cui posto esiste una sorta di piccolo arco), Porta La Stella, anche detta volgarmente del Piscione, nei pressi di "Sotto le Rupi", Porta di Sotto (o di Basso) e Porta degli Albanesi (perchè guarda ad est).

Nel 1486, precisamente la notte del 10 settembre, nella chiesa di S. Antonio, dove si trova il campanile dell'attuale Cattedrale, venne ordita la nota "Congiura dei Baroni" contro Ferdinando I d'Aragona e di suo figlio Alfonso, Duca di Calabria. La congiura venne innescata dalle continue minacce e richiami che venivano rivolti ai nobili lacedonesi per il fatto di aver negato il loro appoggio al Re nella guerra contro Venezia, anche in considerazione dei dissidi che il Re e suo figlio avevano col Papato. I notabili del posto si riunirono nel Castello degli Orsini, per muoversi poi nella chiesa di Sant’Antonio Abate (dove adesso sta il campanile della nuova Cattedrale), e, dopo la celebrazione della messa da parte del prete, Pietro Guglielmone, col SS. Sacramento tra le mani, tutti i convenuti in presenza di notaio e testimoni prestarono giuramento, per iscritto, impegnandosi con tutti i loro beni. Tale evento venne illustrato dal napoletano Camillo De Porzio (1565) e cantato dal poeta Giovanni Chiaia: "Di Lacedonia ecco la roccia alpestre. Là i ribelli a vendicar le offese, su l'Ostia Santa steser le destre; sperder giurando il seme aragonese"...(1852).

Venne poi la volta dei feudatari Del Balzo e, poi, dal 1496, di Baldassarre Pappacota, divenuto Feudatario di Lacedonia, per investitura del Re di Napoli, Ferdinando Federico I D'Aragona. Nel 1500-1501, il nuovo Signore, amico e consigliere del Monarca aragonese, fece erigere un nuovo castello (il vecchio era degli Orsini), con torrione circolare, tre torri e feritoie, modificandone parzialmente la destinazione d'uso: da fortilizio, la struttura divenne una residenza gentilizia, sia pure fortificata, quella che ancora oggi possiamo ammirare. Il Signore Baldassarre Pappacoda venne sepolto nella Cattedrale assieme alla moglie Donna Cornelia D'Accio. La Signoria dei Pappacoda si estinse nel 1584.

La situazione di Lacedonia (Cedonia) al 1674 venne descritta in una rapporto, noto come Relazione Arduini.

Nel frattempo, il feudo di Lacedonia, andato in eredità ad una suora del Monastero di Pietrasanta di Napoli, intorno al 1700, venne da questa ceduto (unitamente a Rocchetta S. Antonio e Candela) ad Andrea Doria Panfili, Principe di Genova.

Lacedonia subì un altro tremendo terremoto nel 1702.

Un'immagine del castello-dimora gentilizia apparve in una stampa pubblicata dal Pacichelli nel 1703.

Il feudo di Lacedonia andò poi a Zenobia Doria Panfili, Principe di Melfi, il cui Casato tenne Lacedonia fino all'abolizione dei diritti feudali.

Lacedonia vide la presenza di San Gerardo Maiella, frate redentorista originario di Muro Lucano, dal 1741 al 1754, presso l'Episcopio, al servizio del Vescovo Claudio Albini e poi presso Casa Cappucci, oggi Casa Pandiscia. Numerosi furono i miracoli attribuiti a San Gerardo Maiella, di cui il più celebre è quello del Pozzo, guarigioni miracolose, conversioni clamorose, assistenza ai poveri ed ai diseredati.

A seguito dell'abolizione dei diritti feudali (1806), il Castello venne comprato dagli Onorato e venne censito nel catasto urbano.

Presso la "Tagliata", nel 1820, venne ritrovata una 'scure consolare".

Nel 1841, Don Vincenzo Franciosi fece abbattere l'antico arco gotico, ubicato presso l’Episcopio.

II 15 settembre del 1851, il Re Ferdinando II di Borbone, accompagnato dal fratello Francesco Paolo e dal Principe ereditario Francesco, in visita a Melfi colpita da un tremendo terremoto, fecero sosta a Lacedonia, dormendo nel Seminario. Prima di ripartire, il Sovrano fece dono di 100 ducati d'oro da destinare alla ricostruzione della Cappella o Santuario di S. Maria delle Grazie (la popolazione aveva dato 120 ducati, sotto forma di "limosine").

Un altro terremoto si ebbe il 14 agosto del 1851 (alle 2,22), che fortunatamente non arrecò molti danni a Lacedonia (anche se colpì duramente Monteverde ed Aquilonia).

Dopo l'unità d'Italia, il territorio di Lacedonia fu oggetto di scorrerie di bande di briganti, i cui nomi divennero famosi, tra cui ricordiamo Petrozzi, Marciano,Caruso, Sacchitiello, Crocco.

La statua dedicata a Francesco De Sanctis. Si trova nella Piazza Centrale di Lacedonia L'Istituto di Istruzione Superiore voluto da Francesco De Sanctis, dove studiarono tantissimi studenti meridionali II 17 gennaio 1875 il Collegio di Lacedonia elesse suo deputato, al terzo ballottaggio, Francesco De Sanctis, a cui è dedicata la piazza centrale su cui insiste un monumento dello statista irpino. Questi, dopo essere stato nominato Ministro della Pubblica Istruzione, qui a Lacedonia volle fondare, tra i primi dell'Italia unita, una Scuola Rurale dell'Alta Irpinia, divenuta successivamente Scuola Normale e, con la Riforma Gentile, Istituto Magistrale, dove studiarono tantissimi giovani studenti dell'Italia meridionale.

Drammatico fu il terremoto del 22 luglio 1930, il cui tipico boato fu preceduto da una improvvisa folata di calore. La tremenda scossa sussultoria ed ondulatoria distrusse completamente Lacedonia, come riportò Hermann Carbone in "Irpinia Fascista" (29 luglio 1930): "Pochissime case, forse quaranta, sono rimaste in piedi... Dei vecchi quartieri del paese nessuno è scampato al cruento disastro ... le macerie, i morti, i feriti, sono disseminati dovunque". Le statistiche ufficiali registrarono 185 defunti, anche se i locali stimarono una cifra superiore alle 200 vittime, i feriti superarono i 600, mentre molte persone, per fortuna ancora vive, vennero poi estratte dalle macerie. Anche i Regnanti si recarono sul posto (e in tutta l'Irpinia) per rendersi conto dell'immane tragedia che aveva, ancora una volta, colpito l'area. I superstiti vennero collocati in piccole costruzioni antisismiche, utilizzate fino a dopo il terremoto del 23 novembre 1980.

Negli anni '50 Lacedonia si distinse per numerose lotte civili e sociali (diritti umani, libertà civili, rivendicazione delle terre abbandonate, richiesta dell'acqua, diritto allo studio ed al lavoro) e fino agli anni '70 mantenne una notevole importanza dal punto di vista religioso ed amministrativo, quale sede di Curia vescovile (l'importante Diocesi di Lacedonia, solo da qualche decennio è stata unita a quella di Ariano Irpino), capoluogo di Mandamento (fino anni '50), Capoluogo dell'omonimo Collegio elettorale (XIX secolo), sede della Pretura, degli Uffici finanziari (Registro ed Imposte), dell'ordine pubblico (Tenenza dei Carabinieri), della Caserma forestale, dell'Enel.

Infine, non va sottaciuta l'attenzione che i Lacedonesi hanno dedicato alla musica. Il Signor Rocco Melillo, Maestro in musica, Professore in tromba dell'Associazione musicale culturale, orchestra di fiati "Michele Lannunziata", ci ha segnalato che, a differenza di quanto avevamo riportato sulla base di dati raccolti in passato, il Concerto bandistico "Michele Lannunziata" venne creato nel 1970 dal Maestro Michele Lannunziata e da un gruppo di diplomati e laureati in musica di Lacedonia, tra cui il citato Rocco Melillo.

In merito al Concerto bandistico "Umberto Giordano", dovrebbe essere stato ricostituito nel 1978, ad opera del Maestro Rocco Di Geronimo, specializzatosi negli Stati Uniti.

Lacedonia diede i natali a Pasquale Palmese (1801-1882), storico valente attento alla storia del suo paese, che scrisse "Notizie storiche di Lacedonia, Tipografia R. Prete, Napoli, 1876, di cui suggeriamo la lettura per approfondire ulteriormente la tematica che abbiamo trattato. Altro testo consultabile è "Lacedonia fra immagini, tradizioni e storia, di V. Saponiero e M. Caggiano. Altro studioso locale fu il Prof. Luigi Chicone, che, tra l'altro, approfondì il tema delle lotte contadine volte a ottenere il frazionamento dei terreni incolti o mal coltivati, nel periodo a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale. Chi volesse approfondire i proverbi popolari lacedonesi legga "Ng' era na 'ota Cirogna" di Antonio Vigorita. Tra i tanti proverbi popolari, simpaticissimo ci è sembrato "Chi vaj(e) truànn n'amic(o) senza rfiett rèst sèmp senz'amic(i)", che letteralmente si traduce: "Chi va trovando un amico senza difetti resta sempre senza amici".

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